Inno plurisecolare, l’Ave Maris Stella [“Salve, stella del mare”] è uno dei canti più belli e più armoniosi del repertorio liturgico gregoriano. L’origine della preghiera è incerta. Alcuni la attribuiscono a Venanzio Fortunato (530-609) o a Paolo Diacono (VIII secolo).
Il primo fu vescovo di Poitiers e poeta cristiano di fama, autore dell’inno eucaristico Pange lingua, l’“ufficio del Santissimo” [San Tommaso si sarebbe ispirato a questo testo, nel XIII secolo, per comporre l’eucologia del Corpus Domini, N.d.T.]. Il secondo fu storico e poeta, consigliere alla corte dei re longobardi, lodato da Carlomagno per la sua scienza, eremita a Montecassino, dove visse secondo la Regola di San Benedetto. Gli dobbiamo nientemeno che la misura dell’ottava e le chiavi musicali…*
L’inno è ancora cantato ai nostri giorni. Il poema figura nell’Ufficio divino (o Liturgia delle ore, pregata sette volte al giorno, che santifica il giorno e la notte) e nel piccolo ufficio della Santa Vergine (proprio di certe comunità religiose, oggi rimpiazzato tra i comuni fedeli dalla preghiera del rosario quotidiano). Lo si trova pure ai vespri delle feste della Vergine Maria.
Esso è composto come un poema in versi senza rima, da sette quartine. Il saluto evoca immancabilmente quello dell’Arcangelo Gabriele: «Ave, Maria, gratia plena» – «Rallegrati Maria, piena di grazia». Seguono svariate domande espresse da un’anima penitente all’indirizzo della Vergine Maria. Il canto culmina in una dossologia: una lode alla gloria della Santa Trinità.
Ave, maris stella,
Dei Mater alma.
Atque semper Virgo,
felix cœli porta…
Gioisci, stella del mare,
Madre e nutrice di Dio,
nonché sempre vergine
porta felice del Cielo.
Raccogliendo quell’“Ave”
dalla bocca di Gabriele,
rendici stabili nella pace
mutando la sorte di Eva.
Sciogli le catene dei peccatori,
porta la luce ai ciechi,
scaccia via i nostri mali
e ottienici ogni bene.
Mostrati per la Madre che sei:
accolga per te le preghiere
colui che, nato per noi,
volle essere tuo.
Vergine senza pari,
dolce più di ogni altra,
affrancaci dalle colpe,
rendici miti e casti.
Concedici una vita pura,
preparaci un cammino sicuro,
perché giungiamo a vedere Gesù
e restiamo sempre uniti nella gioia.
Sia lode a Dio Padre,
e onore a Cristo, il sovrano;
allo Spirito Santo
un unico onore, un solo tributo.
Maria, prima stella del firmamento
L’origine dell’appellativo “stella del mare” per designare la Vergine Maria è sconosciuta. Forse viene dalla Bibbia, dal primo Libro dei Re (18, 41-45), quando il profeta Elia dice al suo servitore: «Sali in cima e guarda dal lato del mare». La salvezza è promessa da quella nuvola che si annuncia all’orizzonte e che il servitore intravede a stento. Prefigurazione di Cristo redentore di tutti gli uomini, che verrà nel mondo mediante la beata Vergine Maria? Difficile dirlo. Ad ogni modo, tanti santi, papi e dottori della Chiesa – tra cui Bernardo di Chiaravalle – avrebbero di lì in poi incoraggiato la preghiera alla Vergine invocata con questo bell’epiteto.
Con un inno dell’VIII/IX secolo, quindi da più di mille anni, la Chiesa saluta Maria, la Madre di Dio, come “stella del mare”: Ave maris stella. La vita umana è un cammino. Verso quale meta? Come ne troviamo la strada? La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata. E quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza – lei che con il suo “sì” aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo; lei che diventò la vivente Arca dell’Alleanza, in cui Dio si fece carne, divenne uno di noi, piantò la sua tenda in mezzo a noi (cfr Gv 1,14)?
Benedetto XVI, Spe salvi 49
Forse l’autore del componimento poetico pensava a quell’astro che impropriamente chiamiamo “stella del Pastore”, il pianeta Venere. Primo corpo celeste visibile nella penombra del sole che tramonta – sole che con tanta intensità essa riflette – e ultima a brillare, nel firmamento, quando l’astro del giorno si leva. Maria, concepita senza peccato e «redenta in modo eminente in considerazione dei meriti del Figlio» (Lumen Gentium 53), brillava della luce di Cristo da prima della nascita del Salvatore. Alla sera del Venerdì santo, Maria restò sola ai piedi della Croce, fedele e fiduciosa nella promessa del suo Signore, ultima scintilla di fede nell’oscurità del mondo…
Un inno a più riprese
L’aria dell’inno Ave Maris Stella fu rimaneggiata e servì da motivo a un celebre lamento del XVI secolo: Le poi Renaud. La sua origine si perde nelle nebbie delle leggende scandinave, spolverate di racconti provenzali del XIII secolo. Questa canzone che narra il ritorno del conte Renaud (il conte Redor) fu per il “romancéro populaire”, cioè per i canti, le favole e i poemi francesi coevi, ciò che la Chanson de Roland fu per la nobile epopea medievale.
Scoprite questa commovente canzone interpretata da Yves Montand negli anni 1950:
Numerosi compositori hanno lasciato una loro propria interpretazione di questo canto cristiano. Tra loro Josquin des Prés, Claudio Monteverdi, Antonio Vivaldi, Johann Sebastian Bach, Franz Liszt, Antonin Dvořák, Edvard Grieg e numerosi contemporanei.
I Vespri di Monteverdi (e in particolare l’Ave Maris Stella) interpretati dal coro sinfonico di Eindhoven accompagnato da un’orchestra di strumenti barocchi – esecuzione avvenuta nella cattedrale di Santa Caterina di Eindhoven in Olanda:
Ave Maris Stella, di Edvard Grieg (1843-1907) interpretato dalle Latvian Voices di Riga (Lituania) durante il Grand Prix europeo dell’Associazione per il canto corale nel 2012:
Una versione modificata di questa preghiera è diventata nel 1884 l’inno nazionale dell’Acadia, una provincia marittima orientale francofona del Canada, nota per il suo includere l’isola di Cap-Breton, o Terranova.
Acadia, patria mia,
al tuo nome mi lego.
La mia vita, la mia fede sono tue,
tu mi proteggerai (Bis)Acadia, patria mia,
terra mia e mia sfida,
da vicino, da lontano mi tieni
il mio cuore è acadiano (Bis)Acadia, patria mia,
la tua storia io la vivo,
la fierezza te la devo
e nell’avvenire credo (Bis)Gioisci, stella del mare,
Madre e nutrice di Dio,
nonché sempre vergine
porta felice del Cielo.
«Salve, stella del mare», un canto gregoriano alla Vergine Maria il cui autore non sarà mai identificato eppure è stato ripreso decine e decine di volte in più di mille anni.
Principe dei poeti del Parnaso a Parigi, José-Maria de Hérédia (1842-1905), si lascerà ispirare al contempo dall’Acadia e da “la Stella sopra i flutti”. Nel 1893 avrebbe composto versi magnifici dedicati alla Madonna dei marinai di Terranova:
Maris Stella,
Sotto le cuffie di lino tutte, a braccia incrociate,
vestite di lana rude o di percalle fino,
le donne, in ginocchio sulla pietra della baia,
guardano l’Oceano che imbianca l’isola di Batz.
Gli uomini – padri, figli, mariti, amanti – laggiù,
con quelli di Paimpol, di Audierne e di Cancale,
verso il Nord, sono partiti per lo scalo remoto.
Arditi pescatori che non torneranno più!
E più in alto del rumore del mare e della costiera
s’alza un lamentoso canto, che a pieni polmoni invoca
la Stella santa, speranza dei marinai in pericolo;
e l’Angelus, piegando tutte quelle fronti bruciate dal sole,
vola dalle campane di Roscoff a quelle di Sybril:
vola, plana e muore nel rosa del cielo che impallidisce.
(in Les Trophées, una raccolta del movimento parnasiano).
––––
*: [In francese “chiave di Ut” N.d.T.]: Ut è l’antico nome della nota “do”. Nel X secolo Guido d’Arezzo, o “Guido il monaco”, inventore della notazione musicale su pentagramma, scelse l’inno dedicato a San Giovanni Battista, del poeta Paolo Diacono, per la denominazione delle note:
Ut queant laxis resonare fibris.
Mira gestorum famuli tuorum.
Solue polluti labili reatum.
Sancti Iohannes.
**: Figura di stile che consiste nel sostituire un nome proprio con un nome comune e viceversa: qui “Cristo” e “luce”.
Fonte it.aleteia.org
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