A qualche giorno di distanza, quantomeno la forma pare essersi ammorbidita: “Io non sto cacciando chi si mette fuori dai supermercati e aiuta le signore a portare la spesa in cambio di qualche monetina – ha dichiarato il sindaco nei giorni scorsi – se vedo uno che fa così, gli dico anche bravo. Il provvedimento è contro chi sbarca a Padova con le carovane e usa i bambini per impietosire la gente, contro chi ti spinge mentre cammini per il centro storico, contro chi ti minaccia o offende se non gli dai spiccioli”.
Ancora qualche giorno, e regolamento alla mano o nella discussione in consiglio comunale capiremo: scatteranno rigidi divieti, magari conditi da multe a chi fa l’elemosina come può succedere se acquisti una borsa contraffatta, oppure la polizia municipale concentrerà le sue forze nel contrasto alle organizzazioni che gestiscono e mettono sulla strada molti mendicanti?
Attenzione: liquidare con una alzata di spalle i problemi relativi alla insicurezza (reale o anche semplicemente percepita) dei cittadini non è una buona tattica, come il centrosinistra ha dolorosamente riscontrato il giorno delle elezioni. Ma le due strade, va da sé, sono profondamente diverse. Un conto è impegnarsi per il rispetto della legalità – specie laddove i più poveri diventano strumento in mano alla criminalità, specie se poi a quei poveri si offrono percorsi di riscatto umano e sociale – altro è immaginare una città “ripulita” da chi, in fondo, chiede solo una briciola del nostro benessere. Anche se lo fa in punta di piedi, magari sorridendoti, senza minacce.
Chi volge lo sguardo alle “periferie esistenziali”, per usare una frase tanto cara a Papa Francesco, sa che al loro interno si muovono malfattori e vittime, albergano crimini e drammi, ciascuno con una sua particolare sfumatura. Chi frequenta gli ambiti della marginalità sa bene quanto delicato e a volte pesante sia districarsi in questo groviglio, come sia facile cadere in inganno, persino farsi strumentalizzare. Eppure è un rischio che merita la pena di correre, almeno nella misura in cui vogliamo farci carico del destino delle persone per migliorarlo. Vale per la chiesa, ma lo stesso ci piacerebbe poter dire della società nel suo complesso, del clima culturale, dello stile di convivenza che ciascuno per la sua parte può contribuire a costruire.
Ancora qualche giorno, e capiremo. Intanto però una cosa appare chiara. In questo rincorrersi, sovrapporsi, contraddirsi di dichiarazioni vediamo ancora una volta ben distillata quella politica dell’annuncio – meglio se affidato a Facebook, senza star troppo lì a limare le parole – che la fa sempre più da padrone nel dibattito pubblico e che viviamo con un crescente disagio.
Certo, se l’importante è conquistare lo spazio (mediatico), servono ricette semplici e slogan immediati. Ma in nome della velocità, che poi tante volte è solo apparenza e non si traduce in soluzioni concrete, la politica sta rinunciando all’ambizione di comprendere e governare la complessità dei fenomeni sociali che attraversano anche le nostre città. E invece dovrebbe essere questa la prima sfida da raccogliere, specie ora che la crisi economica va dilatando tensioni fino a qualche anno fa appena percepibili. Sono problemi che necessitano di una chiara strategia, ma forse prima ancora di un cuore diverso, per essere affrontati. Vale per le politiche del governo, per la spesa sociale delle regioni, vale anche a livello di singole città. Non illudiamoci: possiamo sequestrare tutte le elemosine. Ma i poveri, quelli li avremo sempre con noi. di Guglielmo Frezza per Agensir
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