Di fronte ai fidanzati assassini di Ancona chiedo al dolore di aiutarmi almeno a guardare cosa mi accade – cosa ci accade – quando siamo uno di fronte all’altro ciascuno con le proprie ragioni, ognuno con le proprie colpe ed accuse.
Il fidanzato era andato, per un “chiarimento”, a casa dei genitori della fidanzata che si opponevano al loro rapporto. C’è andato però con una pistola e ad un certo punto ha sparato. Ciascuno di noi, più spesso di quanto si pensi, ha il proprio appuntamento “di pace” al quale si presenta con una pistola. Siamo uno di fronte all’altro e ci scappa il morto (metaforico). Quando accade, non possiamo dire “non ci sono parole”. Non è così. Le parole ci sono. Solo che sono pesantissime da dire. Dobbiamo cercare di leggere cosa dice il dolore, oppure questa morte e questo delirio saranno stati, appunto, solo una morte e un delirio in più. Non basta dire “sono rimasta impietrita”, “la pistola non l’ho toccata”, “non ricordo più nulla”, “volevamo chiarire”. Non basta. C’è un morto, la mamma di lei. C’è un ferito gravissimo, il papà di lei. C’è un assassino, il ragazzo di lei. E c’è lei, che adesso è in una comunità protetta ma la vera protezione le verrà solo da se stessa, come per tutti: alla fine, dai nostri errori, ne usciamo da soli e solo se vogliamo.
Ascoltiamo bene le parole che raccontano questo delitto. Saranno i giudici a dire quanto e come sono vere: io le prendo per tali perché possono essere luce per la mia vita quotidiana. Il fidanzato ha detto che “non voleva uccidere”, che si era procurato la pistola perché il padre della sua fidanzata “mi aveva minacciato”. Ma se non vuoi uccidere, non ti devi armare. Il comandamento non uccidere, ha un suo primo gradino, un primissimo livello basic: non armarti.Se ti senti minacciato, ferito in quello che hai di più caro, non andare, non parlare, non dire nulla e non fare nulla. Resta a casa. Esci e passeggia. Parla con lei se puoi. Se non puoi parla con te stesso. Stai lontano da chi reputi ti abbia fatto e continui a farti del male. Lascia che le ferite si chiudano o che per lo meno non sanguinino. Abbi la prudenza di fuggire. Sembra roba da codardi. Invece no. È roba da forti. Da coraggiosi. Ci vuole coraggio a conoscersi e dirsi “mi fermo”. Se vado oltre sono pericoloso. Non ce la farò a gestire la situazione. Ci vuole coraggio a fermarsi. Andare in bocca al leone è da imprudente e temerario. Aspettare. Sedimentare. Riflettere. Quante volte sono le uniche armi vincenti.
“Eravamo andati dai miei per un chiarimento”. Chiarirsi. Parola che mi porta alle manate date al vetro della macchina questa mattina a Roma, fermo al semaforo, fuori è freddo e umido e dentro il vapore acqueo non ti fa vedere più nulla. Se pulisci solo con le mani ci vuole un panno. Sennò dura poco. Sennò è più il pasticcio che la chiarezza. Ci vuole un panno. Pulito. Asciutto. Così con i chiarimenti tra padre e figlia e tra tutti noi. Ci vogliono parole che non siano pistole e ci vogliono parole pulite. Parole asciutte. Senza grida, senza recriminazioni. Parole pulite. Cioè parole che sanno anche ascoltare, tacere per ascoltare. Difficile? Certo. Per questo ho parlato prima della prudenza. Perché sono un uomo e le discussioni più riuscite sono quelle che non ho fatto, che sono rimaste in canna. Ho atteso e poi dopo, ho detto qualcosa se ancora c’era da dire qualcosa. A ferita fresca l’unica è fermarsi a leccarla ed attendere che il dolore ci permetta di mettere a terra la zampa. Fanno così gli animali per istinto. Proviamo a imparare. E ci sarà meno bisogno di obitori, di ospedali, di comunità protette e di prigioni.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost