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Le tante voci di dolore e sofferenza, i rifugiati ed il sacerdote torturato. Una Via Crucis al Colosseo, che ricorda il dolore del mondo

Le meditazioni di quest’anno sono testimonianze di uomini e donne di varie regioni del mondo che vivono violenze e povertà ascoltate dal Papa durante i suoi viaggi apostolici e in altre occasioni. Gli afflitti dalle guerre e dalle ingiustizie del mondo sono ancora una volta i protagonisti della Via Crucis al Colosseo

Vatican News

Vengono da Africa occidentale e australe, Terra Santa, Balcani, Sud e Centro America, Asia e anche Ucraina e Russia. Sono uomini e donne, giovani e anziani, padri e madri o consacrati, feriti da bombe, spari, missili o feriti dall’odio fratricida che devasta le loro terre. Le loro testimonianze accompagneranno le 14 Stazioni del percorso che si snoda oggi 7 aprile al Colosseo. I testi della Via Crucis sono testimonianze ascoltate dal Papa durante i suoi viaggi apostolici e in altre occasioni. La raccolta è stata curata da alcuni Dicasteri della Curia Romana. Francesco ha voluto che il tema fosse “Voci di pace in un tempo di guerra”.

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Per le diverse zone del mondo si è scelto di indicare le grandi regioni, mentre nel caso dell’Europa sono stati menzionati i due popoli, ucraino e russo, perché quello della guerra scoppiata nel cuore del continente cristiano è un conflitto che è stato costantemente al centro dell’attenzione del Papa e dei suoi appelli nell’ultimo anno e mezzo.

Una “decisione” di pace in Terra Santa

Il cammino della Croce si snoda a partire dalla Terra Santa, dove “la violenza sembra essere il nostro unico linguaggio. Giustizia e perdono non riescono a parlarsi”, si legge nella prima meditazione. In questo contesto “carico di odio e rancore”, la chiamata è a prendere una “decisione” diversa, una decisione di pace. Poi la preghiera: “Quando condanniamo senza appello i fratelli” e “quando chiudiamo gli occhi davanti all’ingiustizia: Illuminaci, Signore Gesù!”.

La Via Crucis di un migrante dell’Africa Occidentale

Struggente la testimonianza di un migrante dell’Africa Occidentale che ripercorre la personale “via crucis” cominciata 6 anni fa, segnata da un viaggio nel deserto tra cadaveri e carcasse di auto, e dalla permanenza in Libia” tra prigionia e torture, dove “alcuni persero la vita, altri la testa”. Poi le traversate in mare, tra cui una su un gommone con altre 100 persone, salvati su una nave che però li ha ricondotti in Libia. Ancora detenzioni e violenze, poi di nuovo in acqua con i compagni che annegavano e lui che si addormentò “sperando di morire”. Lo salvarono pescatori e Ong. Arrivato a Malta “rimasi in un centro per 6 mesi e lì persi la testa; ogni sera chiedevo a Dio perché: perché uomini come noi devono ritenerci nemici?”. “Liberaci, Signore Gesù”, è la preghiera, dalle “facili condanne del prossimo”, dai “giudizi affrettati”, dalle “chiacchiere distruttrici”.

Via Crucis

Le “cadute” dei giovani del Centro America

È di giovani del Centro America la meditazione della III stazione, quella in cui Gesù cade per la prima volta. Anche questi ragazzi parlano di cadute: “pigrizia”, “paura”, “vuote promesse di una vita facile ma sporca, fatta di avidità e corruzione”. È ciò che accresce le spirali di narcotraffico, violenza, dipendenze, sfruttamento. “Mentre troppe famiglie continuano a piangere la perdita dei figli”, loro pregano Dio: “Mettici nel cuore il desiderio di rialzare qualcuno che sta a terra”. E, aggiungono, dalle nostre “pigrizie”, “tristezze”, “cadute” e anche dal “pensare che aiutare gli altri non tocchi a noi” “Rialzaci, Signore Gesù!”.

In Sud America la madre che aiuta a prevenire gli incidenti delle mine

Ancora dall’America, ma questa volta del Sud, proviene la voce di una madre vittima, nel 2012, di un ordigno dei guerriglieri che le devastò una gamba. A terrorizzarla però fu vedere la figlia di 7 mesi con pezzi di vetro conficcati nel visino. “Cosa dev’esser stato per Maria vedere il volto di Gesù tumefatto e insanguinato! Io, vittima di quella violenza insensata, all’inizio provai rabbia e risentimento, ma poi scoprii che se diffondevo odio creavo ancora più violenza”. Per questo ha studiato per insegnare a prevenire gli incidenti dovuti alle mine nel territorio. “Nel volto sfigurato di chi soffre: Donaci di riconoscerti, Signore Gesù!”, è l’invocazione.

Vittime dell’“odio” in Africa, Sud dell’Asia e Medio Oriente

Tre migranti intrecciano poi le loro storie. Provenienti da luoghi diversi – Africa, Sud dell’Asia e Medio Oriente – sono tutti vittime dell’odio. Quello che ha la forma di bombe, coltelli, fame, dolore. L’odio che “una volta sperimentato, non si dimentica…”. “Ci sarà un Cireneo per me?”, domandano. E invocano il perdono di Dio perché “ti abbiamo disprezzato negli sventurati” e “ignorato nei bisognosi di aiuto”.

Il sacerdote torturato durante la guerra nei Balcani

Un sacerdote dà voce alla Penisola Balcanica: parroco 40 anni fa in piena guerra, fu deportato in un campo per quattro mesi, senza cibo e acqua, picchiato, torturato, con tre costole rotte: “Mi minacciarono di strapparmi le unghie… di scorticarmi vivo”. Una volta pregò una guardia di ucciderlo. Ma una donna musulmana arrivò a portargli cibo e aiuti: “Riuscì a raggiungermi facendosi largo in mezzo all’odio. Fu per me come la Veronica per Gesù”.  “Donaci il tuo sguardo, Signore Gesù”, è la supplica, “per prenderci cura di chi patisce violenza” e “accogliere chi si pente del male”.

Le speranze di due ragazzi dell’Africa Settentrionale

Due adolescenti dell’Africa Settentrionale condividono il proprio dolore: Joseph (16 anni) e Johnson (14 anni). Vissuti nei campi sfollati, dopo aver abbandonato il Paese “flagellato dalla guerra”, vorrebbero studiare e giocare a calcio ma non hanno né spazi adatti né opportunità: “La pace è bene, la guerra è male. Vorrei dirlo ai leader del mondo”. “Nella fatica di costruire ponti di fraternità – è la loro orazione – Rendici forti, Signore Gesù!”.

Il popolo del Sud-Est Asiatico che “ama la pace”

Al mondo parlano pure i fedeli dal Sud-Est Asiatico: “Siamo un popolo che ama la pace, ma siamo schiacciati dalla croce del conflitto. Le lacrime delle nostre madri piangono la fame dei loro bimbi”. Proprio le donne danno forza, come la suora “che a difesa della sua gente si è inginocchiata di fronte al potere schierato delle armi”. “Dal commerciare armi senza scrupoli di coscienza: Convertici, Signore Gesù!”, pregano. “Dal destinare soldi agli armamenti anziché agli alimenti: Convertici, Signore Gesù!”.

La suora che insegna i valori ai bambini in Africa Centrale

È una suora pure la voce dell’Africa Centrale che rivive la terribile mattina del 5 dicembre 2013, quando il suo villaggio fu assalito dai ribelli: “Mia sorella scomparve e non tornò più”. Lei piangeva e gridava: “Perché?”. Da Dio ha attinto la forza per amare: “Nonostante abbia perso praticamente tutto… tutto passa tranne Dio”. Da questa esperienza, è nata la vocazione a trasmettere ai bambini i valori di aiuto, perdono, onestà. “Risanaci”, chiede a Dio, dalla paura di essere “incompresi” e “dimenticati”.

La testimonianza di un giovane ucraino e un giovane russo

Nella decima stazione a comporre le meditazioni sono un giovane ucraino e un giovane russo. Il primo racconta della fuga da Mariupol verso l’Italia, dove risiede la nonna, con il padre bloccato alla frontiera e la nostalgia di casa. “La mia famiglia ha deciso di rientrare in Ucraina. Qui la situazione continua ad essere difficile, c’è guerra da tutte le parti, la città è distrutta”. Il giovane russo dice di sentirsi invece “spogliato della felicità e di sogni per il futuro”. Il fratello più grande è morto, del padre e del nonno non si sa più nulla: “Tutti ci dicevano che dovevamo essere orgogliosi, ma a casa c’era solo tanta sofferenza e tristezza”. Al Signore chiedono la purificazione da “risentimento”, “rancore”, “parole e reazioni violente”, “atteggiamenti che creano divisioni”.

Il “calvario” di un giovane del Vicino Oriente

Ricordi di morte e bombardamenti sono pure quelli di un giovane del Vicino Oriente, costretto a vivere dal 2012 una guerra “ogni giorno più orrenda”. Le bombe esplodevano continuamente nel suo quartiere, una pure nella camera dei genitori. Da lì la decisione di scappare: “Un altro calvario perché, dopo due tentativi di ottenere un visto, non ci rimase che imbarcarci”. Rischiarono la vita e furono salvati dalla guardia costiera e dagli abitanti del posto: “La guerra uccide la speranza”. “Guariscici, Signore Gesù” da “impazienza”, “fretta”, “chiusura”, “isolamento”. Guariscici “dalla sfiducia e dal sospetto”.

La mamma dell’Asia Occidentale che ha perso il figlio ma non smette di sperare

“Il tuo amore è più forte di tutto”, afferma invece una donna dell’Asia Occidentale. Parole non scontate da parte di una madre che ha visto il figlio piccolo morire sotto un colpo di mortaio insieme al cugino e la vicina di casa. “La fede mi aiuta a sperare, perché mi ricorda che i morti sono nelle braccia di Gesù. E noi sopravvissuti cerchiamo di perdonare l’aggressore”. A Cristo domanda: “Insegnaci” a “perdonare, come tu ci hai perdonato” e a “fare il primo passo per riconciliarci”.

Il ricordo della consorella uccisa in Africa Orientale

Una suora dall’Africa Orientale ricorda la consorella missionaria morta “senza pietà” per mano dei terroristi il giorno in cui il suo Paese festeggia l’Accordo per l’indipendenza. “Il giorno della vittoria si tramutò in sconfitta”, scrive. Tuttavia, assicura, Cristo è “la nostra vera vittoria”.  “Tu che morendo hai distrutto la morte: Abbi pietà di noi, Signore Gesù!”.

Le ragazze dell’Africa Australe che perdonano i ribelli

Infine la testimonianza di giovani ragazze dell’Africa Australe, rapite e maltrattate dai ribelli: “Spogliate di abiti e di dignità, vivevamo nude perché non scappassimo”. Sono invece fuggite e ora scrivono: “Nel nome di Gesù li perdoniamo per tutto quello che ci hanno fatto”. “Custodiscici, Signore Gesù” nella “speranza che non delude”, nel “perdono che rinnova il cuore”, nella “pace che rende beati”.

14 “grazie”

La Via Crucis si conclude con una preghiera di “14 grazie” al Signore: “Grazie” per la speranza, il coraggio, la misericordia, l’amore. “Grazie per la luce che hai acceso nelle nostre notti e riconciliando ogni divisione ci hai reso tutti fratelli”.

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