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Le tentazioni non ci vengono da Dio!

[…] Non si tratta di un semplice pensiero, ma di un pensiero impuro, cattivo. Ad essere sinceri, ciò che spesso chiamiamo tentazioni non sono neppure veri pensieri, piuttosto immagini della fantasia alle quali si aggiunge la suggestione di realizzare qualche cosa di cattivo.

[…] I Padri paragonano il cuore umano ad una “terra promessa”, nella quale i Filistei, i Babilonesi e altri popoli pagani gettano lance e frecce, cioè cattive suggestioni. Questi pensieri “diabolici”, “carnali”, “impuri” non possono aver origine nel nostro cuore, dal momento che esso è creato da Dio. Vengono quindi “dal di fuori”. Non appartengono al nostro modo naturale di pensare. E finché rimangono al di “fuori” di noi, non sono peccato. Costituiscono un male solo nel momento in cui li accettiamo consapevolmente e liberamente, quando cioè ci identifichiamo con essi.

[…] Dal cuore dell’uomo viene il peccato, perché il consenso al male è dato dall’interno dell’uomo, dalla sua libera volontà. I pensieri cattivi, i desideri passionali girano continuamente, per così dire, intorno a noi. Spesso occupano la nostra fantasia e la nostra mente. Costituiscono la debolezza umana dopo il peccato dei primi antenati. Ma in sé non sono ancora un vero male. La Chiesa afferma che la concupiscenza proviene dal peccato e attira al peccato, ma in sé non è peccato.

Le tentazioni quindi ci vengono da Dio?! Certo che no! un interessante approfondimento




[…] La vita dell’uomo sulla terra è un combattimento, dice Giobbe (7,1). E un proverbio aggiunge che chi non vuol combattere, non dovrebbe nemmeno vivere. Ma non dobbiamo esagerare la difficoltà di questa lotta. Un antico autore mistico, lo Pseudo-Macario, paragona la nostra anima ad una grande città. Nel centro c’è un bel castello, vicino c’è la piazza del mercato e intorno la periferia. Il nemico, cioè il peccato originale, ha occupato la periferia, cioè i nostri sensi. Ed è perciò che in quel punto spesso ci sentiamo turbati. Ma questi turbamenti arrivano di frequente anche alla piazza del mercato, cioè là dove si comincia a discutere se dobbiamo o non dobbiamo accogliere un pensiero come nostro o se piuttosto dobbiamo rifiutarlo. Ma nel castello interiore, dove è la nostra libertà ad essere il padrone, il peccato non può penetrare se non gli apriamo la porta con il nostro libero consenso».

Gli antichi monaci, i padri del deserto, – ricorda Spidlík – «proposero un’accurata analisi del processo mentale che si verifica in occasione delle tentazioni interiori. Ordinariamente si distinguono cinque stadi di penetrazione della malizia nel cuore: 1) la suggestione, 2) il colloquio, 3) il combattimento, 4) il consenso, 5) la passione». La suggestione, è la prima immagine fornita dalla fantasia, la prima idea, il primo impulso. «Se lasciamo perdere la prima suggestione, essa se ne va così come è venuta. Ma l’uomo normalmente non lo fa, si lascia piuttosto provocare e comincia a riflettere», ecco cosa s’intende per «colloquio». «Un pensiero che, dopo un lungo colloquio, si è insidiato nel cuore, non si lascia scacciare facilmente», ma l’uomo è ancora libero di non acconsentire. «Può e deve uscire vittoriosamente da questa lotta, ma gli costa tanta fatica», questo significa il «combattimento». Il «consenso» è invece lo stadio di chi «ha perduto la battaglia» e «decide di eseguire alla prima occasione, ciò che il pensiero maligno gli suggerisce. In questo stadio si commette il peccato in senso vero e proprio. Ed anche se non si concretizza esteriormente il peccato rimane interiormente». La «passione» – che nella spiritualità orientale ha un significato diverso che in quella occidentale legata al pensiero di Tommaso d’Aquino e che può equivalere grossomodo al nostro concetto di vizio – «è l’ultimo stadio, quello più tragico. Chi soccombe ai pensieri maligni, spesso indebolisce progressivamente il suo carattere. Nasce così una costante inclinazione al male che può diventare forte a tal punto da essere molto difficile resisterle».

Che cosa fare allora quando ci sentiamo assaliti da tali tentazioni? Dobbiamo fermarci e dirci: «Che cosa voglio fare? Che cosa decido?». Davanti a Dio, l’uomo è ciò che liberamente vuole e non ciò che sente contro la propria volontà.

A cura di Redazione Papaboys fonte: Aleteia
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