Categorie: Ethica et Oeconomia

L’ecatombe cinese: migliaia di donne costrette al suicidio

Suicidarsi significa non vedere altra via d’uscita, non trovare senso nella propria vita e nemmeno in quello che si è. Il suicidio può essere individuato come una delle maggiori sintomatologie del disagio, della frustrazione, della depressione più nera. Dell’inadeguatezza e dell’impotenza di cambiare le cose, il mondo e la rete di relazioni –se esiste- in cui sei inserito. Anche per questo, l’analisi del tasso dei suicidi è una delle lenti con cui le singole società possono essere analizzate e valutate. Se dovessimo prendere ad oggetto le due categorie di appartenenza sessuale, uomo e donna (dell’impressionante percentuale che vede come attori persone transgender abbiamo parlato diffusamente, sia nei casi singoli che con dati statistici), si troverà un livello maggiore di suicidi nei primi rispetto che nelle seconde. Questo a livello generale. In Cina la situazione è diametralmente diversa: questo stato conta uno dei più alti tassi di suicidio femminile nel mondo (secondo solo alla Corea ed allo Sri Lanka) ed una percentuale maggiore nelle donne rispetto agli uomini. Se è vero, come emerge da molti studi sociologici e psicologici, che una delle principali ragioni scatenanti che portano una persona ad intraprendere questa tragica scelta è il grado scollegamento e dissociazione sociale, non essere inseriti in una soddisfacente rete di relazioni e di responsabilità scientemente accolte, ne deriva che, statistiche e stili di vita alla mano, sono gli uomini a soffrire maggiormente di queste lacune.

Come mai in Cina le cose sono diverse? Quali sono le specificità che rendono questa grande Nazione lo sfondo di una quotidiana ecatombe in rosa? Se stiamo ai dati ufficiali di Human Right, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della Beijing Suicide Research and Prevention Center, riportati dal portale LifeNews, la media di suicidi femminili al giorno in Cina è di 500  donne per un totale di circa 182mila all’anno. Numeri che, come minimo, necessitano di un’analisi. Oltre a gridare vendetta. Tra le peculiarità principali della Cina vi è il tasso dilagante di povertà, aspetto di per sé non positivo ma che non produce come conseguenza diretta il suicidio: riprova ne sono i tanti Paesi in via di sviluppo che non si connotano in tal senso. Essere eredi e vivere in un contesto che ha avuto il suo inprinting con la cosiddetta Rivoluzione comunista è un’altra caratteristica marcatamente cinese ma, anch’essa, deve essere tolta dal compendio delle probabili cause. Basti pensare ai molti Paesi dell’est Europa, soggiogati per decenni da questa ideologia, in cui però il fenomeno non risulta essere marcato.

Purtroppo la realtà è una sola: in Cina la politica del figlio unico non solo ha portato a milioni di morti innocenti, bambini strappati dal grembo della madre anche al settimo ed oltre mese di gestazione, ma produce delle insanabili ferite sull’anima delle donne cinesi, costrette ad abortire, straziate nel corpo come nemmeno con un animale si farebbe, private della possibilità di crearsi la famiglia che si desidera. Dovendo far morire la propria creatura soprattutto se femmina. A questo si somma la sindrome del sopravvissuto, avendo consapevolezza che, probabilmente, la propria famiglia d’origine avrebbe preferito un figlio maschio rispetto a lei. Perché, a prescindere da come la si pensi e dal ruolo che la società contemporanea intende forzosamente affiancare alla figura femminile, una donna trova nell’essere madre la propria più profonda, vitale ed originaria essenza. a cura della Redazione Papaboys *

* La fonte dell’articolo è tratta da: notizie prolife

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