A ormai un anno dalla sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale – che ha riportato temporaneamente il sistema per l’elezione delle due Camere all’era della proporzionale – il cammino della riforma elettorale sembra ancora lontano dalla conclusione. Il sistema elettorale per la Camera delineato nel ‘Patto del Nazareno’ del gennaio scorso è stato più volte modificato dai contraenti di quell’intesa (Matteo Renzi, Silvio Berlusconi e – come junior partner – Angelino Alfano), rispetto al suo (assai discutibile) impianto originario. Ma restano alcuni motivi di dissenso, che oltretutto si intrecciano con altre questioni, come quella della scelta del prossimo presidente della Repubblica.
E inoltre riappare periodicamente – da ultimo nella forma di una clausola di salvaguardia – lo spettro dell’alternativa all’Italicum: il ritorno puro e semplice alla legge Mattarella, con la quale l’Italia ha eletto le due Camere nel 1994, nel 1996 e nel 2001. L’Italicum anzitutto. La sua ultima versione prevede che la Camera dei deputati sia eletta in circoscrizioni di piccole dimensioni (di circa 6 deputati), con scrutinio di lista, voto di preferenza, ma con capilista ‘bloccati’: l’elettore recupererebbe dunque il potere di scegliere, oltre alla lista, i singoli candidati di essa, ma alcuni deputati sarebbero eletti in virtù della loro inclusione nella lista, indipendentemente dalle preferenze degli elettori. I seggi sarebbero ripartiti fra le liste in ragione proporzionale, con una clausola di sbarramento di entità non ancora determinata (3 o 5%), ma certo molto inferiore a quell’8% previsto nella versione della legge approvata alla Camera lo scorso inverno, che francamente richiamava Putin o Erdogan.
La lista che ottenesse il maggior numero di voti e che superasse il 40% conseguirebbe poi un premio di maggioranza, che le permetterebbe di ottenere la maggioranza assoluta dei seggi.
Qualora nessuna lista arrivasse al 40%, si procederebbe a un ballottaggio fra le due liste più votate. Rispetto a questo sistema (frutto dell’ultimo vertice Renzi-Berlusconi, a novembre), manca ancora l’accordo su due punti di rilievo centrale: il livello esatto della soglia di sbarramento e, soprattutto, l’ammissibilità o meno di coalizioni fra liste diverse per concorrere a ottenere il premio di maggioranza.
Vi è inoltre un nodo irrisolto: la riforma riguarda solo la Camera, in quanto essa presuppone l’approvazione della riforma costituzionale, che renderebbe non più elettivo il Senato e che, soprattutto, escluderebbe l’assemblea di Palazzo Madama dal voto di fiducia al Governo e la collocherebbe in posizione subordinata a quella di Montecitorio nel procedimento legislativo. Visto che i tempi della riforma costituzionale saranno più lunghi di quelli della riforma elettorale (che è affidata alla legge ordinaria), è riemersa di recente l’ipotesi di introdurre nella riforma elettorale una clausola di salvaguardia, in virtù della quale, in caso di mancata approvazione della riforma costituzionale prima dello scioglimento delle Camere, si andrebbe al voto con la legge Mattarella. Dunque con una legge elettorale mista, a prevalenza maggioritaria, e non con il sistema elettorale proporzionalissimo uscito dalla penna della Corte costituzionale.
Ma la mera evocazione del Mattarellum ricorda che esso negli scorsi mesi è stato invocato in funzione alternativa all’Italicum: in particolare, è stato invocato dal Movimento 5 Stelle come alternativa globale sia alla riforma elettorale, sia alla riforma costituzionale. Di qui il dubbio che possa tornare in campo proprio in questa seconda veste, qualora il presidente del Consiglio decidesse di stracciare il ‘Patto del Nazareno’ e di cercare l’accordo su questa soluzione con i pentastellati. In questo contesto, le due alternative – Italicum o Mattarellum – pur molto diverse fra loro, realizzano entrambe sistemi misti (cioè con elementi di maggioritario e di proporzionale) che consentirebbero di riprendere il filo della transizione italiana post-1992, dopo la capriola veteroproporzionalistica imposta dalla sentenza della Consulta. E ciascuna delle due soluzioni presenta vantaggi e svantaggi.
L’Italicum ha perso, con le successive limature, i suoi tratti più rozzi, ma ha oggi il suo principale limite nelle ridotte dimensioni dei collegi elettorali, che, unite alla distribuzione dei seggi fra le liste su scala nazionale, al premio di maggioranza e alla possibilità di ricorrere senza limiti alle candidature multiple, rischia di produrre risultati casuali nell’elezione dei singoli deputati e dunque di mancare il cruciale obiettivo di restaurare il legame elettori-singoli deputati che è stato definitivamente rotto dalla riforma elettorale del 2005. Sarebbe preferibile limitare a 2-3 le pluricandidature e creare collegi più grandi, anche se non grandissimi (la dimensione provinciale potrebbe essere una buona soluzione, magari abbinata ad alcuni accorpamenti per le province più piccole), anche al fine di ridurre il numero dei capilista (e quindi dei deputati eletti senza preferenza).
Il Mattarellum, dal canto suo, ha il grande vantaggio di essere basato su collegi uninominali, che nel contesto attuale sembrano essere il meccanismo più adeguato per ricostruire la relazione eletto-elettore su base territoriale (purché le candidature non siano come in passato ‘paracadutate’, ma frutto anche di ‘primarie’). Il suo effetto maggioritario – pur potenzialmente fortissimo, anche se spesso lo si dimentica – rischia però di essere casuale nell’attuale contesto partitico, frammentato ed estremamente mobile. Quale che sia alla fine la scelta fra i due sistemi, è forse banale, ma necessario, riflettere su alcuni ulteriori ritocchi a ciascuno di essi.
Di Marco Olivetti per Avvenire