Dopo la Messa della pace, nel febbraio del 2009 nella Chiesa di Santa Rita in Harahan, Colm John Cahill, 18 anni di Jersey in Inghilterra, ha dato una notevole testimonianza del suo recupero, che può solo essere descritto come un dono della Madonna.
Tutto è iniziato nel 1998 a Jersey quando aveva 7 anni, ritornando a casa con suo padre ebbe un grave incidente d’auto. Dopo l’incidente, ha sviluppato delle convulsioni. In un primo momento si è pensato che fosse lo stato di shock, ma nel corso degli anni le convulsioni sono peggiorate e da una volta alla settimana sono diventate quotidiane. A quel tempo aveva nove anni, era nel periodo in cui era appena cosciente del tempo tra le crisi e i farmaci. Cominciò a perdere la speranza in quello che poteva fare della sua vita. A 13 anni, i medici mentre eseguivano i test per assicurarsi che tutto fosse in ordine. si sono resi conto che l’attività elettrica del cervello era stata danneggiata. Il medico ha detto alla sua famiglia che la sua vita sarebbe durata probabilmente non più di un anno.
La sua testimonianza:
A undici anni, avevo molteplici crisi epilettiche, quattro o cinque al giorno. Durante le convulsioni, perdevo conoscenza del tutto, il mio corpo veniva gettato a terra in spasmi per un periodo che andava dai 10 ai 45 minuti. Non potevo vivere una vita normale. Qualcuno doveva dormire con me in ogni momento. I miei nervi erano presi da un’ansia costante, perché gli attacchi potevano colpire in un qualsiasi momento. Non ero più libero di camminare all’esterno da solo, fare sport o andare a visitare una amico a casa. Ogni volta che mi sedevo, dovevo avere un supporto per la schiena. Mi sentivo molto depresso e preoccupato per la mia vita e per ciò che sarebbe stato il mio presente e il mio futuro. Sono cresciuto in una famiglia cattolica, ma era molto difficile credere in un Dio dopo quello che mi era successo. Non riuscivo a capire come un bambino che soffre come me, possa in qualche modo essere legato all’Amore. E, al momento, non mi rendevo nemmeno conto di quanto fosse capitato anche alla mia famiglia. La mia malattia ha influenzato non solo i miei genitori, ma tutti i miei fratelli, due sorelle e due fratelli, che sono stati costantemente attenti a me, accollandosi un sacco di responsabilità in giovane età. Io vengo da una delle Isole del Canale al largo della costa della Normandia, in Francia, chiamato Jersey; possesso della corona inglese, connesso al Regno Unito.
Nel 2003, all’età di dodici anni, ho viaggiato dentro e fuori dagli ospedali sull’isola per tutto il tempo. Due volte, ho volato da Jersey a Londra per vedere diversi neurologi che speravamo avrebbero capito la natura del mio problema e quindi come meglio trattarlo. Ma purtroppo non abbiamo avuto alcun risultato. Per otto anni ho consumato un cocktail di farmaci al giorno, che modificavo ogni due mesi come il Valproato e Tegretol in Diapazan Lorazapan, ecc. Ho vissuto in una situazione critica costante, e non c’era speranza per il futuro. Non ho provato tante emozioni, perché ogni maggiore emotività poteva innescare una crisi. Il senso della mia vita e il mio stato interiore era fragile. Io non consideravo il suicidio, perché per quanto mi riguardava, stavo vivendo la vita di qualcuno che era già morto. La mia famiglia ha provato di tutto per fermare i miei attacchi e per guarirmi. Hanno contattato tutti gli specialisti in tutto il mondo, dall’America all’Australia, ma invano. Quando avevo tredici anni, la mia famiglia decise a malincuore di mettermi in un istituto. Avevo paura, ma accettai, sapendo che non c’era modo di poter un giorno condurre una vita normale. Spesso avrei voluto tornarmene a casa, e se ero abbastanza calmo, i miei genitori mi portavano in chiesa, ma comunque dovevo tornare a vivere nell’istituto, costantemente sorvegliato in cura 24 ore su 24 fino alla mia morte inevitabile, perché non si può vivere a lungo con questi farmaci e con una tale malattia. Nello stesso anno, il 2004, è arrivato a Jersey un nuovo sacerdote, e ha visitato la mia famiglia che l’ha accolto con piacere. L’ho incontrato per la prima volta, quando è arrivato durante uno dei miei soggiorni in ospedale, ma non sapevo bene.
Nel maggio di quest’anno, è tornato a casa e ha chiesto di parlare con me. Ha detto che stava andando in un posto chiamato Medjugorje. Non sapevo cosa volesse quando ha detto “Voglio andare a pregare per te”. Risposi, senza alcun entusiasmo “Va bene”. “Ma voglio anche chiederti qualcosa” ha detto. “Manderò a tua madre un messaggio da Medjugorje, e in quel momento, pregherai”.
Io essendo impotente e senza speranza, accettai. Vedevo il suo viaggio a Medjugorje come l’ultima chance, visto che fino ad allora nulla aveva funzionato. Dove il mondo aveva completamente fallito, forse Dio e la Vergine Maria avrebbero potuto aiutarmi. Mi rivolsi a loro, senza speranza, e chiesi: «“C’è qualcosa che potete fare? Mi potete aiutare?”»
Il sacerdote andò a Medjugorje la settimana successiva, il 17 maggio 2004. Ebbe una intenzione di preghiera costante durante tutto il suo pellegrinaggio, per sette giorni. In ogni Messa che ha frequentato, in ogni rosario detto durante ogni escursione, ogni Via Crucis, ogni preghiera, pregava e chiedeva la mia guarigione. Il 21 maggio, abbiamo ricevuto un messaggio da lui, che ci diceva avrebbe partecipato alla apparizione della Beata Vergine Maria da Ivan Dragicevic, uno dei veggenti. L’apparizione si doveva svolgere verso le ore 22 a Medjugorje (che a Jersey sono le ore 21) e voleva pregare proprio durante il momento dell’apparizione.
Poco prima delle ore 21, sono andato nel mio cortile, era strano perché la notte era buia, e io ero solo. Di per sé, già questo è stato un atto di fede, perché non ero mai stato fuori da solo, era troppo rischioso. Come atto di fede, anche mia madre finalmente me lo permise. Nelle mie mani, avevo un Crocifisso, sei candele e un rosario. Non sapevo cosa stavo facendo. Ho voluto creare un luogo sacro, così ho creato un altare improvvisato e ho messo al centro di una panchina, il Crocifisso, con tre delle sei candele su ciascun lato. Dopo aver acceso le candele, mi inginocchiai davanti al mio “altare”, e tirai fuori un libro su come pregare il rosario. Quella notte, ho pregato per la prima volta nella mia vita, con un rosario in una mano e un libro nell’altra. Come si avvicinavano le ore 21, rimasi in preghiera continua. Con una raffica di vento che soffiava intorno a me nervosamente, mi aspettavo di vedere spegnersi le candele, ma curiosamente rimasero accese. Quindi esattamente alle ore 21, insieme con l’apparizione di Maria a Medjugorje, le cose cominciarono ad accadere. Il vento si ferma completamente in una frazione di secondo, diviene inesistente. Tutto all’improvviso si trasforma in una calma definitiva, una calma pacifica. Proprio allora, mentre guardavo il crocifisso, mi uscì un pianto lamentoso, “Help me!” Queste due parole erano come un grido di aiuto che riassumeva ogni grido del mio cuore. Volevo solo liberarmi della mia malattia…
Poi proprio davanti ai miei occhi, le sei candele, una per una, da sinistra a destra, si sono miracolosamente spente, con circa due secondi tra una candela e l’altra. Mentre tutte le candele erano spente, un’incredibile energia e una pace erano dentro di me. Sentivo una forza che mi attraversava lentamente dall’alto su tutto il mio corpo e la parte superiore della mia testa. In tutto durò per circa 30 secondi e un profondo senso di pace onnipresente, si stabilì in me quando mi inginocchiai in un silenzio persistente e inquietante. Per sette anni, da quando avvenne l’incidente, soffrivo di mal di testa e vertigini, malgrado i molti farmaci che prendevo. Improvvisamente i miei sintomi scomparvero. Travolto e confuso da quello che avevo visto con le candele, e la quiete intensa nel giardino, mi alzai, andai di nuovo in casa e subito andai a letto. La mattina dopo, quando mi sveglia, ricevetti un messaggio dal prete che era a Medjugorje. Mi scrisse che al momento dell’apparizione di Ivan, la Madonna aveva pregato in particolare per tutti coloro che erano malati. Quel giorno passò, e non ebbi nessuna crisi. E poi il giorno successivo, e anche in quell’occasione non ebbi alcuna crisi. Io non voglio perdere le mie speranze, ma l’emozione ha cominciato a costruire l’interiorità dentro di me. La settimana successiva, quando il sacerdote è tornato da Medjugorje, ancora nessuna convulsione, nessun mal di testa, senza allucinazioni e niente vertigini. Dopo questo, la mia famiglia e io capimmo, finalmente, quello che mi era successo. Ero completamente guarito. I miei medici non potevano dare una spiegazione di come le convulsioni si siano improvvisamente fermate, ma il prete me ne diede una. Non ho mai avuto la fede come un bambino, o di averla cercata, ma ora la mia fede era impossibile da ignorare. “Sei stato guarito”, ha detto il sacerdote, “da Dio e da sua Madre“.
I medici hanno cominciato a ritirare i farmaci. Erano così tanti che non me li potevano togliere tutti in una volta, perché questo avrebbe completamente sconvolto l’equilibrio chimico nel mio corpo. Ci sono voluti otto mesi, ma all’inizio del 2005, ero libero di tutti i farmaci. Uno per uno i membri della mia famiglia hanno perso la loro incredulità, e hanno cominciato a ringraziare spontaneamente con esclamazioni di lode e di gioia.
Naturalmente resomi conto del mio cambiamento, ho cominciato a saltare su e giù, ho ritrovato il sorriso e il mio cuore si è riempito di gratitudine. Mi sentivo così felice con la vita, e mi sono profondamente innamorato della Vergine Maria e di Gesù Cristo. Con la curiosità ritrovata, volevo esplorare la mia fede, ho voluto conoscere Maria e suo Figlio Gesù, volevo andare a Medjugorje, e così ci andai.
Esattamente un anno dopo, il 20 maggio 2005, misi piede a Medjugorje, in occasione dell’anniversario della mia guarigione e ci sono tornato molte altre volte da allora. Sono passati sette anni e sono ancora in perfetta salute. Gli ultimi sette anni, per me, sono serviti a sperimentare la vita. Ho ritrovato la mia gioia e la mia curiosità, ho avuto le lotte e le sfide. Non sono guarito diventando un santo. Sono guarito diventando un adolescente normale, con le lacrime e le sfide che vengono con esso. Durante gli ultimi anni di apprendimento tra me e Dio, ho anche avuto modo di conoscere la mia vocazione. A settembre ho intenzione di entrare in seminario e studiare per diventare un prete cattolico. Ora capisco cosa significano le parole: “Nulla è impossibile a Dio”. Quando mi rivolsi a lui nell’impotenza assoluta, quando gli esperti del mondo non riuscivano a capire come curare me, l’Onnipotente mi ha donato la vita.
Fonte: medjugorjeetlagospa.blogspot.fr – (tradotto dal francese)