Una vita per la vita. Sta tutto in questo piccolo gioco di parole inserito nella motivazione di uno degli innumerevoli riconoscimenti ricevuti nella sua carriera. Maria Pollacci, classe 1924, nata in casa, a Lama Mocogno, paesino sull’Appennino modenese, seconda di quattro fratelli e figlia di contadini, non è solo un’ostetrica, ma il simbolo delle ostetriche. L’esempio di come una professione possa diventare una vocazione.
A 92 anni questa splendida signora dai modi dolcissimi e dal piglio risoluto non ha ancora smesso di assistere le madri al parto. Di bambini abbracciati alla nascita come fossero figli suoi, “mamma” Maria ne ha già visti 7.644, un record: «Quanti bastano per popolare un’intera vallata», dice.
Al cancello della palazzina di via Risorgimento, a Pedavena, ai piedi delle Dolomiti bellunesi, dove abita dal 1964, è ancora appeso un fioccone azzurro. Il piccolo Pietro, nato da poche settimane, è l’ultimo dei “suoi” bambini. Ma l’agenda consunta della levatrice tiene già segnati tanti altri appuntamenti con la vita che nascerà.
Il pensiero va, allora, al primo di quei bambini, Francesco, che oggi di anni ne ha 72: il primo parto tutto suo. «Era il 3 settembre 1945. Ricordo che facevo coraggio alla mamma, quel coraggio di cui avrei avuto bisogno io, impaurita com’ero dalla responsabilità ». Andò tutto per il meglio. E dopo 25 anni Maria incontrò nuovamente Francesco, che poi non ha più perso di vista. Come tanti altri ex neonati assistiti in giro per mezza Italia del Nord, tra Emilia e Friuli, Veneto e Trentino. Quante notti insonni e quante apprensioni, quanti interventi d’emergenza e viaggi avventurosi, quanti chilometri macinati in auto o percorsi a piedi.
Nevicava così forte quella notte a Montecreto, borgo sull’Appennino modenese, dove Maria aveva avuto il suo primo incarico, che c’erano già 80 centimetri di neve. «Alle tre di notte mi sveglia un uomo: “Per favore venga subito, mia moglie ha le doglie”. Ci incamminammo a piedi, sotto la tormenta, verso La Marina, l’ultima frazione del paese, a 1.200 metri d’altitudine. Ad attenderci c’era una donna in una casa poverissima e gelata. Stava a letto agitatissima, con le contrazioni. Mi misi all’opera e dopo circa mezz’ora nacque un bel bambino di quasi quattro chili. Ma la placenta non si staccava. Cominciai a preoccuparmi seriamente: si rischiava l’emorragia e serviva l’intervento urgente di un medico. La vita di quella donna era appesa a un filo. Ma quale medico sarebbe salito in tempo fin lassù, di notte e con la strada bloccata dalla neve? Il più vicino stava a 15 chilometri. Mi feci forza e, alle suppliche del padre, feci ciò che non avrei dovuto fare, perché si trattava di un intervento che necessita di un medico esperto. Sì, la manovra di Credé l’avevo studiata a scuola e l’avevo vista praticare. Altra cosa, però, era eseguirla, e da sola. Con l’aiuto del Signore, anche quella volta andò tutto bene», racconta Maria. «Alla fine mi sedetti, sfinita dalla tensione e chiesi al padre un grappino. Il medico arrivò dopo due giorni. Rimasi in quella casa per una settimana, per somministrare la penicillina alla mamma. Preparavo il brodo, accudivo il piccolo Paolo, giocavo con gli altri suoi fratellini. Imparai pure a fare il formaggio».
Non è la prima volta che Maria finisce sui giornali per i suoi parti “fuori ordinanza”. Ricorda con piacere quella volta che a Cles, in Trentino, assistette al parto di un’acrobata del circo, all’interno del suo carrozzone: «Il bimbo pesava oltre sei chili. Alla sera, poi, c’era lo spettacolo e per festeggiare l’evento i circensi mi fecero entrare nella gabbia dei leoni, tenendo in braccio il piccolo, per un brindisi. Il cin-cin più agitato della mia vita».
Quella dell’ostetrica per Maria è una vocazione sognata fin da ragazzina. «Avrei voluto fare la crocerossina. Ma erano anni difficili, incombeva la guerra; così mia madre mi propose di studiare per diventare levatrice. Dio ha voluto che in tanti anni non mi accadesse mai di perdere un solo bambino».
Nella sua abitazione campeggia sul tavolo il mazzo di fiori che le hanno regalato al Festival di Sanremo. Ma i suoi fiori sono le orchidee: 35 tutte in fila sui balconi. Curate come fossero bambini. Ogni stanza è uno scrigno di ricordi: foto, angioletti di ogni foggia, cuoricini, ritratti e disegni infantili. Tutto parla dei suoi bimbi e della riconoscenza dei genitori. Tra le lettere che “mamma” Pollacci conserva ne estrae una. È di una straniera di nome Dyana: «Ho avuto la fortuna di conoscere donne forti», le scrive la donna, «ma non ho mai incontrato una che come lei aiuta gli altri in modo così diretto e naturale». Spiega d’aver capito solo dopo averla conosciuta «perché ostetrica in francese si dica “sage-femme”, donna saggia».
Nell’inseparabile borsa da medico, pronti all’uso, ci sono gli attrezzi della professione: le pinze Pean, le forbici, l’aspiramuco, uno stetoscopio di legno, cerate e padelle smaltate. «Alcuni di questi strumenti risalgono al 1945», dice con l’orgoglio di chi ha ben tenuto i ferri del mestiere.
E conclude: «Per far nascere un bambino ci vogliono sempre le stesse cose». Non dice che tra queste cose servono l’amore e la cura, come quelli che ci mette “mamma” Maria.
Fonte www.famigliacristiana.it/Alberto Laggia – Foto di Beatrice Mancini
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