Tokyo (AsiaNews) – “Chiudo gli occhi e sono paziente. Se mi arrabbio o mi metto a urlare è finita. È quasi come pregare. L’odio non è per esseri umani. Il giudizio è di Dio. Questo ho imparato dai miei fratelli e sorelle arabi”. È il contenuto di un tweet lanciato il 7 settembre 2010 da Kenji Goto Jogo, giornalista cristiano giapponese ucciso due giorni fa dai terroristi dello Stato islamico in Siria. Questo messaggio è divenuto virale sulla Rete ed è stato rilanciato fino a questa mattina 24mila volte. Per i commentatori, è una sorta di “testamento spirituale” del reporter.
Goto è stato tenuto prigioniero insieme ad un altro giapponese, Haruna Yukawa (anche lui ucciso dai militanti islamici), e ad un militare giordano, il tenente Muath al-Kaseasbeh. Di quest’ultimo non si hanno ancora notizie: i rapitori hanno chiesto al governo di Amman di liberare una terrorista irachena, Sajida al-Rishawi, ma non hanno garantito in cambio la liberazione dell’ostaggio. Fonti del Regno dicono che “tutti i canali sono aperti”, ma aggiungono che “non si hanno ancora notizie certe su Muath”.
Il vescovo di Niigata, mons. Tarcisio Isao Kikuchi, invita invece i fedeli a ricordare nella preghiera le vittime e le loro famiglie: “Il cosiddetto ‘Stato islamico’ ha ucciso due giapponesi, una vicenda triste conclusa con una brutalità senza pari. Dovremmo ricordarci di loro e delle loro famiglie nelle nostre preghiere, e anche dell’ostaggio militare di cui ancora non si sa nulla. Possa il Dio di tutte le consolazioni portare pace alle loro famiglie”.
Per il presule, gli omicidi compiuti dai terroristi “sono inaccettabili. Lo Stato islamico dice di essere composto da musulmani, che agiscono secondo gli insegnamenti dell’islam. Nonostante queste parole i loro atti li smentiscono: uccidere innocenti non è accettabile da chiunque abbia una religione. Noi che siamo credenti rispettiamo la vita umana, dono prezioso dell’unico Dio. Trovo molto difficile accettare una qualunque giustificazione per un atto del genere, e non ritengo possibile che un atto così brutale e violento venga commesso in nome di Dio, che è Creatore di tutti noi”.
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