“Caro Papa Francesco ti scrivo…”. Ogni giorno, nell’ufficio di corrispondenza del Pontefice, arrivano centinaia di lettere, disegni, messaggi di bambini di tutto il mondo. Ora un’antologia di questa originale e straordinaria corrispondenza viene pubblicata nel libro Letterine a Papa Francesco a cura di Alessandra Buzzetti, vaticanista del Tg5, per la casa editrice Gallucci. Francesco ha dato il suo consenso alla realizzazione di questo libro, il cui ricavato andrà a sostegno dei bambini curati dal Dispensario pediatrico Santa Marta in Vaticano.
Io qui non parlo del libro perché non posso recensire un libro che non ho letto. Neanche consiglio di comprarlo: non ha bisogno di pubblicità, si fa comprare da solo. Voglio solo scrivere del mio desiderio di leggere presto queste letterine, del mio desiderio di conoscere, di più e meglio, Papa Francesco e di farlo dall’osservatorio speciale e privilegiato degli occhi e del cuore dei bambini. Forse lì trovo la spiegazione al perché tanti cattolici non capiscono il Papa. Quando un bambino racconta, non dice mai solo quello che vede ma narra quello che sente. Lo sguardo di un bambino sa contenere solo quello che lo emoziona ma il bello è che lo emoziona tutto perché non ha filtri sociali, culturali, pregiudiziali. Un bambino non ha responsabilità perché non ha responsi, non ha risposte, sulla vita. Ma ha tante domande. E leggendo le loro domande noi riscopriamo la realtà, che è la verità a misura dei nostri sguardi e ci liberiamo dalle nostre risposte standard, che sono le risposte alle domande che dentro di noi abbiamo ucciso, dalle quali noi adulti abbiamo deciso di non farci interrogare più.
Sono tante. Il dolore innocente. La guerra. La morte. La vita. Le domande uccise da noi grandi sono le domande dei bambini. Sono le domande che svelano la nostra nudità sulle zone d’ombra della vita: quelle che, grandi come siamo, abbiamo paura ad attraversare. Anche i bambini anche hanno paura, certo, ma la differenza tra noi e loro è che loro lo sanno e lo dicono. Vedono la paura e la chiamano per nome. E ora nelle letterine del libro, la scrivono. L’unico modo di avere coraggio è riconoscere di avere paura. Sarà che è Natale e la parola Papa assomiglia alla parola babbo di Babbo Natale, ma questi bambini hanno capito che in Vaticano c’è qualcuno che è lì per loro, come una mamma o un papà che sono in casa, la sera, la domenica, alla recita, quando hai la febbre o quando si va in bici al parco. Uno che non sa tutte le risposte però non ha paura di nessuna delle tue domande. Non dice mai che certe domande non si fanno e certe cose non si dicono. Quelli sono gli esperti. Ma i bambini con loro non ci parlano. Loro vanno dal Papa.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da l’Huffingtonpost