Pensare che basti essere prete o vescovo per incontrare Gesù risorto lo smentisce la mia esperienza. Ho incontrato tardi Gesù vivo: specifico bene che si tratta di Gesù vivo, risorto. Gesù di Nazareth figlio unigenito di Dio, vero Dio e vero Uomo, morto in croce e risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture l’ho proclamato da sempre, ne ho parlato in tante occasioni e ho sempre pensato di crederci e questo mi bastava.
di Giovani D’Ercole, Vescovo emerito
Gesù lo avvertivo come Dio da accettare con la volontà; un Dio con cui confrontarmi nella preghiera e nelle scelte della vita; un Dio Amore che puoi raggiungere nella meditazione , nella preghiera, e quando fai del bene agli altri.
Cercavo sinceramente di capire come incontrare Gesù vivo.
Una pretesa un po’ ardita!? Il contatto tra noi preti e vescovi non mi aiutava perché sembra che parlare dell’esperienza personale con Gesù sia qualcosa di troppo intimo. E poi non è un dato scontato il fatto che noi crediamo in Lui?. Spesso quando si accenna a questo tema, la risposta è : « suvvia, andiamo ai problemi concreti, pensiamo alla gente che soffre: di Gesù sappiamo già e Lui sa tutto di noi».
Un eccesso di confidenza o una fatica a guardarsi fin in profondità nella verità?
Sono andato avanti per anni, decenni: cercavo di leggere le esperienze dei santi, gli approfondimenti dei teologi e dei mistici, le ricerche scientifiche sui vangeli specialmente sulla passione, morte e risurrezione. Tutto bene, sentivo che Gesù c’era ma non viveva in me come raccontano i santi. Un giorno qualcosa mi ha liberato da una specie di angustia spirituale.
Avevo celebrato la solenne Messa di Pasqua; avevo fatto come spesso succede tutto il possibile per spiegare alla gente che Gesù è veramente risorto facendo appello a dati esegetici, spunti mistici con qualche esortazione spirituale e moraleggiante. La gente, come capitava non raramente, è venuta alla fine a complimentarsi per la predica, per la liturgia ben curata, e mi sentivo soddisfatto.
Che può fare di più un vescovo? Ma avvertivo che non era tutto: anzi mancava tutto. La sera di quel giorno, tornando da una parrocchia dove nell’omelia avevo commentato l’incontro del Risorto con i due discepoli di Emmaus, ruminavo da solo queste parole: …Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc24, 31-32). Ci ardeva il cuore nel petto!
Dunque quest’ardore è l’esperienza di Gesù risorto, cioè di Gesù vivo che vado cercando da tanto tempo. La sera, pur stanco, mi ritrovai come d’abitudine nella cappella dell’episcopio. Vi ho trascorso tanto tempo, ma mi è sembrato un attimo.
Ricordo confusamente tutto quello che ho sperimentato (posso dire di aver sognato?).
Mi rimane impressa come un chiodo che mi perfora la vita, questa frase che ho sentito in me: “quando celebri la messa non sei tu protagonista, sono io Gesù vivo che vivo in te”.
Gesù vivo che vive in me! Era la prima volta che capivo il senso di Gesù vivo e non riesco a spiegarlo con parole umane. Da allora so che Gesù vive in me malgrado la mia povertà e persino i miei peccati che gli offro come l’unica cosa veramente mia.
Nella santa Messa lascio a Lui il ruolo di unico protagonista che gli compete di diritto e avrei quasi voglia di scomparire perché Lui solo sia visto e sentito: del resto Lui celebra in me e io devo immergermi in Lui e confondermi in Lui.
Da allora ho riconsiderato con occhi più chiari l’immagine di San Giovanni Paolo II che celebra e adora l’eucaristia. Mi pare di capire meglio il misticismo di quel santo Papa e mi resta nel cuore il fascino del suo silenzio che rivivo nei tempi di adorazione. Da allora, pur consapevole della mia indegnità non posso vivere senza celebrare e non riesco a limitarmi a questo: è diventata un’esigenza del cuore adorare la reale presenza eucaristica. Riscopro di conseguenza l’importanza di seguire fedelmente le norme e le rubriche liturgiche abbandonando il desiderio della creatività che prima faceva sentire me protagonista.
Ho poi capito che la scoperta di Gesù vivo non è una mia conquista in tanti modi ricercata, ma che Gesù stesso ha voluto visitarmi e questo è per forza un dono da accogliere con umiltà e da vivere in silenzio. Sono nate così le lunghe pause di adorazione che avverto come un bisogno di intimità da Lui stesso desiderata e abitata.
Nella Messa viviamo la sua passione, morte e la risurrezione e questo non è riconducibile a un rito o a una bella e solenne celebrazione: è un mistero da adorare e vivere.
Mi torna spesso alla mente quel che il card. Roger Etchegaray, stimato collaboratore di Giovanni Paolo II , mi disse un mattino appena terminata la concelebrazione di noi due soltanto nella piccola cappella piena di icone orientali del suo appartamento: « Vedi, don Giovanni, dopo aver celebrato l’Eucarestia l’essenziale è fatto e tutto il resto oggi sarà solo contorno».
Una Santa Pasqua a tutti voi.
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