Ieri Radio Capital (Vittorio Zucconi) mi ha cercato perché voleva parlare di quella roba latina, dell’Instrumentum Laboris. Ma, dico io, il 23 giugno, Radio Capital non dovrebbe far sentire musica e parlare di vacanze, borse, donne e gioielli invece che di una bozza di lavoro vaticana? Cos’è successo? E ancora: perché un affermato giornalista si affanna per un’intervista su un’enciclica?
Un’enciclica sto dicendo, non l’anticipazione di un volume di Harry Potter. Se l’avessi raccontato qualche anno fa nessuno ci avrebbe creduto. Sarebbe stato come parlare di un’ardita anticipazione che riguardava il trafugamento dei lineamenti di un direttorio pastorale della Cei. Oltretutto, si tratta di un’anticipazione che riguarda l’Espresso, non Avvenire o il Messaggero di Sant’Antonio. Scordiamoci l’epoca del profondo disprezzo del laico per la chiesa perché “tanto non mi riguarda”.
A questo punto, anche se dicessi che nell’Instrumentum Laboris non c’è nessuna sostanziale novità, che, a proposito di rispetto per persone omosessuali, nozze non equiparabili, unioni civili, comunione ai divorziati risposati, matrimoni misti, separazioni, dichiarazioni di nullità matrimoniali gratuite, non c’è nessuna svolta epocale perché questo documento è solo una messa a punto della precedente Relatio ed è solo un documento che verrà presentato al vaglio di un Sinodo che, comunque, non ha nessun potere deliberante perché è solo consultivo e quindi, in ogni caso, la parola ultima spetterà sempre al Papa, se, ripeto, dicessi tutto questo, direi la verità, ma non servirebbe a far calare l’interesse per le due parolette latine. Rimarrebbe la domanda su perché alla gente questo documento interessa infinitamente.
La mia risposta è che questo documento, come tutto quello che fa e dice il Papa, trasuda franchezza, trasparenza, voglia di raccontarsi la verità. E questo è quello che vogliamo tutti, siamo o meno credenti. Perciò la gente non ha problemi a passare, sull’ipad, dall’icona delle 50 sfumature a quella dell’Instrumentum Laboris. L’esempio è un po’ datato ma rende l’idea. In quelle due parolette latine c’è la nostra vita presa così com’è, senza trucchi, senza maquillage, così com’è. È la vita, la nostra vita, e finalmente sembra che qualcuno voglia farsene carico, o per lo meno parlarne davvero. Parlare davvero non è poco: è niente di meno che”il primo passo. Quando ci sono difficoltà, bisogna guardarle bene, prenderle e parlarne. Mai nasconderle. La vita è così. La vita bisogna prenderla come viene, non come noi vogliamo che venga”. Quando il Papa nella Laudato Si parla della casa comune, non sta facendo profezie ed auspici, ma descrive noi, la gente che riconosce di abitare nella stessa dimora del Papa. Dove Francesco non ha il ruolo di capo condominio. Ma comunque, forse, qualcosa da dire su quello che ci succede, ce l’ha, e val la pena ascoltarlo.
Casa comune vuol dire che non esistono più muri e steccati. Se i giornali laici mi informano dell’Instrumentum Laboris come – o forse meglio – di quelli cattolici, vuol dire che non esiste più un mondo laico e un mondo cattolico. Schemi vecchi, passati, barriere abbattute. E il Papa viene percepito così per la sua parresia. È una parola greca che Papa Francesco ha usato in lungo e in largo per tutto il pontificato e che vuol dire quella roba là: trasparenza, franchezza, verità, autenticità, dirsi le cose, non raccontarsela. All’Udienza Generale, e dopo la presentazione dell’Instrumentum Laboris, ha bocciato la, purtroppo, classica espressione di “coppie irregolari”. “A me non piace questa parola – ha detto – Dobbiamo chiederci come aiutarle. Come accompagnarle“. Poi, sul Frecciarossa, non ci crederete, ho sentito una signora che, a proposito di un’ipotetica relazione, urlava al cellulare che voleva dal suo uomo – probabilmente un cattolico – “più parresia”.
Nel millennio scorso avrebbe detto “non mi raccontare balle”. Adesso sente più adeguato il greco di Papa Francesco, quello che un tempo si usava solo nelle aule vaticane e nelle università pontificie.
Quindi, prima di chiederci che cosa deciderà la Chiesa, cioè il Sinodo, cioè il Papa, rispetto alle persone omosessuali, alla gratuità delle nullità, alla comunione, ai divorziati risposati e così via, chiediamoci perché a tutte queste persone interessa tanto l’opinione di un argentino che si esprime in un italiano stentato. Rispondiamo a questa domanda e capiremo a quanti anni luce dalla realtà vive chi ragiona per schemi e contrapposizioni, per muri e “noi e loro”. Sentiremo che desiderio hanno le persone non solo di sapere cosa il Papa pensa, ma anche di riconoscere la propria vita in quella di cui parla il Papa. Magari senza condividerne le soluzioni. Però scoprendolo compagno di viaggio per lo stesso cammino. Che poi Sinodo vuol dire questo: camminare assieme.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost
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