Debora Donnini – Città del Vaticano
Le parole di Papa Francesco rivolte ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ricevuti stamani in Sala Regia, in Vaticano, quest’anno sono intessute sul discorso che San Paolo VI rivolse all’Assemblea delle Nazioni Unite – il primo di un Pontefice dinanzi a quel consesso – nel quale delineò le finalità della diplomazia multilaterale, mettendone in evidenza gli elementi di contatto con la missione spirituale del Papa e della Santa Sede. Più volte Francesco, nel suo discorso di quest’anno, vi fa riferimento sottolineando i rischi del riemergere di tendenze nazionalistiche che stanno indebolendo il sistema multilaterale della diplomazia mentre il confronto fra Stati deve essere costruttivo. Sono 183 gli Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche con la Santa Sede a cui vanno aggiunti l’Unione Europea e il Sovrano Militare Ordine di Malta.
Un intervento denso e di ampio respiro, quello di Papa Francesco all’inizio di questo 2019, che spazia nella storia del ‘900 e che non manca, comunque, di affrontare anche le vicende particolari vissute, quest’anno, da diversi Paesi. Spazio al tema della violenza sulle donne, del lavoro, degli abusi sui minori e del tema delle migrazioni che hanno bisogno di una linea condivisa. Nel suo discorso il Papa menziona anche nuove intese raggiunte nel 2018, la firma dell’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei Vescovi in Cina e diversi anniversari che cadono nel 2019, come il 70.mo di fondazione del Consiglio d’Europa. A precedere il suo intervento, il Saluto del Decano del Corpo Diplomatico, l’ambasciatore di Cipro George Poulides.
Tra i vari anniversari che cadono nel 2019 il Papa ne ha menzionato uno in modo particolare: il centenario della Società delle Nazioni. Si tratta di un’organizzazione che non esiste più e Francesco stesso spiega di averla voluta menzionare perché essa rappresenta l’inizio della moderna diplomazia multilaterale – cuore del suo discorso – con cui gli Stati tentano appunto di “sottrarre le relazioni reciproche alla logica della sopraffazione che conduce alla guerra”. L’esperimento della Società delle Nazioni conobbe, vent’anni dopo la sua nascita, un più lacerante conflitto – la Seconda Guerra Mondiale – ma comunque aprì una strada che venne percorsa poi, con maggiore decisione, dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, una strada non sempre efficace ma comunque un’opportunità per le Nazioni di ricercare soluzioni comuni.
Buona volontà e buona fede degli interlocutori, disponibilità a un confronto leale e sincero, volontà di accettare gli inevitabili compromessi che nascono dal confronto fra le parti: questi sono gli elementi che costituiscono, per Papa Francesco, la premessa indispensabile per il successo della diplomazia multilaterale perché se anche uno solo di questi viene a mancare, prevale “la ricerca di soluzioni unilaterali e, in ultima istanza, la sopraffazione del più forte sul più debole”. Per questi motivi entrò in crisi la Società delle Nazioni e si tratta dei “medesimi atteggiamenti” che anche oggi “stanno insidiando la tenuta delle principali Organizzazioni internazionali”:
Ritengo dunque importante che anche nel tempo presente non venga meno la volontà di un confronto sereno e costruttivo fra gli Stati, pur essendo evidente come i rapporti in seno alla comunità internazionale, e il sistema multilaterale nel suo complesso, stiano attraversando momenti di difficoltà, con il riemergere di tendenze nazionalistiche, che minano la vocazione delle Organizzazioni internazionali ad essere spazio di dialogo e di incontro per tutti i Paesi.
Diverse sono le cause individuate nel discorso del Papa. In parte questo è dovuto a “una certa incapacità del sistema multilaterale” di offrire soluzioni efficaci a situazioni da tempo irrisolte, come i conflitti “congelati”, e di affrontare le sfide attuali in modo soddisfacente per tutti. In parte, lo si deve all’evoluzione delle politiche nazionali, che invece di perseguire pazientemente il bene comune con risposte di lungo periodo, “sempre più frequentemente” sono determinate dalla “ricerca di un consenso immediato e settario”. In parte, poi, sono l’esito di “poteri e gruppi di interesse”, che impongono le proprie idee “innescando – sottolinea il Papa – nuove forme di colonizzazione ideologica, non di rado irrispettose dell’identità” e della dignità dei popoli.
Infine, il Papa vede come causa di queste tendenze anche la reazione, in alcune aree del mondo, ad una globalizzazione sviluppatasi troppo rapidamente così che fra globalizzazione e localizzazione si è creata una tensione. La strada per uscirne è quella di “prestare attenzione alla dimensione globale senza perdere di vista ciò che è locale”. È, infatti, facile che i nazionalismi riemergano con una “globalizzazione sferica”, che livella le differenze, mentre la globalizzazione può essere anche un’opportunità se è “poliedrica”, cioè se stabilisce una tensione positiva con l’identità di ciascun popolo, “secondo il principio che il tutto è superiore alla parte”. Papa Francesco sottolinea, quindi, come il riapparire di pulsioni “populistiche e nazionalistiche” – che prevalsero allora sulla Società delle Nazioni – “sta progressivamente indebolendo il sistema multilaterale, con l’esito di una generale mancanza di fiducia, di una crisi di credibilità della politica internazionale e di una progressiva marginalizzazione dei membri più vulnerabili della famiglia delle nazioni”.
Rifacendosi, quindi, al discorso di San Paolo VI alle Nazioni Unite, Francesco richiama, quindi, gli elementi di contatto fra la diplomazia multilaterale e la missione spirituale del Papa e della Santa Sede. Il primo è il “primato della giustizia e del diritto”, che devono governare i rapporti fra i popoli. “Nella nostra epoca – dice Papa Francesco – preoccupa il riemergere delle tendenze a far prevalere e a perseguire i singoli interessi nazionali senza ricorrere a quegli strumenti che il diritto internazionale prevede per risolvere le controversie e assicurare il rispetto della giustizia, anche attraverso le Corti internazionali”. Atteggiamento che, a volte, è frutto della reazione dei governanti dinanzi al malessere, sempre più diffuso, dei cittadini che percepiscono le regole della comunità internazionale “lontane dalle loro effettive necessità”:
È opportuno che le personalità politiche ascoltino le voci dei propri popoli e che ricerchino soluzioni concrete per favorirne il maggior bene. Ciò esige tuttavia il rispetto del diritto e della giustizia tanto all’interno delle comunità nazionali che in seno a quella internazionale, perché soluzioni reattive, emotive e affrettate potranno sì accrescere un consenso di breve respiro, ma non contribuiranno di certo alla soluzione dei problemi più radicali, anzi li aumenteranno.
Proprio a partire da questa preoccupazione il Papa ha voluto dedicare il Messaggio per la Pace del 2019 all’intima connessione fra la buona politica e la pace fra i popoli mettendo in evidenza come la buona politica debba perseguire il bene comune di tutti. Alla base di tali considerazione c’è – ricorda il Papa – la dimensione trascendente della persona, creata a immagine e somiglianza di Dio. Francesco ribadisce, quindi, che il rispetto della dignità di ogni essere umano è la premessa indispensabile per ogni convivenza realmente pacifica. Pertanto, esorta a riscoprire il carattere universale dei diritti umani enunziati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo – di cui si è celebrato nel 2018 il 70.mo anniversario – proprio affinché non prevalgano visioni parziali dell’uomo, che rischiano di aprire la via a “nuove disuguaglianze” e, in estremo, anche a “nuove violenze e soprusi”.
Entrando ancora di più nel vivo del discorso, il Pontefice ricorda che la premura della Santa Sede è quella di essere “un ascoltatore attento e sensibile alle problematiche che interessano l’umanità”, non per ingerire nella vita degli Stati ma per mettersi al servizio del bene di ogni essere umano. Una premura che ha contraddistinto sia gli incontri in Vaticano sia quelli con i popoli raggiunti nell’anno appena concluso nei viaggi apostolici in Cile, Perù, Svizzera, Irlanda, Lituania, Lettonia ed Estonia. Una premura che spinge la Chiesa ad adoperarsi per “l’edificazione di società pacifiche e riconciliate”. In questa prospettiva il pensiero del Papa va al Nicaragua, con l’auspicio che le diverse istanze politiche e sociali trovino nel dialogo la strada maestra per confrontarsi, così come al Vietnam con il consolidamento delle relazioni fra questo Paese e la Santa Sede e in vista della nomina nel prossimo futuro di un Rappresentante Pontificio residente.
Quindi il Papa ricorda la firma dell’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei Vescovi in Cina, avvenuta il 22 settembre scorso, mediante il quale si è giunti a fissare alcuni elementi stabili di collaborazione tra la Sede Apostolica e le Autorità civili. Come aveva menzionato nel suo Messaggio indirizzato ai cattolici cinesi e alla Chiesa universale, “già in precedenza – afferma – avevo riammesso nella piena comunione ecclesiale i restanti Vescovi ufficiali ordinati senza mandato pontificio, invitandoli a operare generosamente per la riconciliazione dei cattolici cinesi e per un rinnovato slancio di evangelizzazione”.
Ringrazio il Signore perché per la prima volta dopo tanti anni, tutti i Vescovi in Cina sono in piena comunione con il Successore di Pietro e con la Chiesa universale. E un segno visibile di ciò è stata anche la partecipazione di due Vescovi dalla Cina Continentale al recente Sinodo dedicato ai giovani. Si auspica che il prosieguo dei contatti sull’applicazione dell’Accordo Provvisorio siglato contribuisca a risolvere le questioni aperte e ad assicurare quegli spazi necessari per un effettivo godimento della libertà religiosa.
Tra gli anniversari che Papa Francesco ricorda lungo il suo discorso c’è quello della caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre 1989. Di lì a pochi mesi, avrebbe avuto fine la Guerra Fredda e la lacerante divisone dell’Europa, con i Paesi ad Est che, dopo decenni di oppressione, ritrovarono la libertà e, in molti, iniziarono un cammino che li ha portati ad aderire all’Unione Europea. Una ricorrenza, dunque, significativa:
Nel contesto attuale, in cui prevalgono nuove spinte centrifughe e la tentazione di erigere nuove cortine, non si perda in Europa la consapevolezza dei benefici – primo fra tutti la pace – apportati dal cammino di amicizia e avvicinamento tra i popoli intrapreso nel secondo dopoguerra.
La comunità internazionale è poi chiamata a difendere rifugiati e migranti, a facilitare l’integrazione così come a dare la possibilità di tornare in patria, in sicurezza. “Ogni essere umano anela ad una vita migliore”, sottolinea Francesco, e “non si può risolvere la sfida della migrazione con la logica della violenza e dello scarto”.
Il Papa in questo senso esprime la sua gratitudine ai governi che hanno collaborato in favore dei migranti e menziona la Colombia che, assieme ad altri Paesi del Continente, ha accolto un ingente numero di persone provenienti dal Venezuela.
In pari tempo, sono consapevole che le ondate migratorie di questi anni hanno causato diffidenza e preoccupazione tra la popolazione di molti Paesi, specialmente in Europa e nel Nord America, e ciò ha spinto diversi governi a limitare fortemente i flussi in entrata, anche se in transito. Tuttavia, ritengo che a una questione così universale non si possano dare soluzioni parziali. Le recenti emergenze hanno mostrato che è necessaria una risposta comune, concertata da tutti i Paesi, senza preclusioni e nel rispetto di ogni legittima istanza, sia degli Stati, sia dei migranti e dei rifugiati.
In tal senso ricorda l’impegno della Santa Sede per l’adozione de due Global Compacts su rifugiati e migranti. “In particolare – evidenzia – il Patto sulle migrazioni costituisce un importante passo avanti per la comunità internazionale che, nell’ambito delle Nazioni Unite, affronta per la prima volta a livello multilaterale il tema in un documento di rilievo”. E i due Compacts saranno, quindi, “importanti punti di riferimento” per politici e organizzazioni internazionali, nonostante la non-obbligatorietà giuridica dei due documenti e l’assenza di vari governi alla recente con Conferenza dell’Onu a Marrakech. Il Papa sottolinea comunque che “di entrambi i Patti, la Santa Sede apprezza l’intento e il carattere che ne facilita la messa in pratica, pur avendo espresso riserve circa quei documenti, richiamati nel Patto riguardante le migrazioni, che contengono terminologie e linee guida non corrispondenti ai suoi principi circa la vita e i diritti delle persone”.
È la difesa dei deboli il secondo elemento del discorso di Papa Montini alle Nazioni Unite che Francesco richiama. Tra le iniziative di cui, in questo senso, la Chiesa si è fatta promotrice, il Papa ricorda quella umanitaria in favore della popolazione sofferente, soprattutto nelle regioni orientali dell’Ucraina, a causa di un conflitto che dura da quasi 5 anni con recenti e preoccupanti sviluppi sul Mar Nero. Si proseguirà in questo senso – promette – cercando anche di attirare l’attenzione anche sulla sorte dei numerosi prigionieri. La Chiesa cerca di incoraggiare, direttamente e indirettamente, “percorsi pacifici per la soluzione del conflitto”, rispettosi della legalità anche internazionale. A tal fine – prosegue Francesco – sono importanti gli strumenti che garantiscono “il libero esercizio dei diritti religiosi”.
Tra i senza voce del nostro tempo il Papa non dimentica le vittime delle altre guerre in corso, specialmente di quelle in Siria, ribadendo il suo appello alla comunità internazionale perché si favorisca una soluzione politica al conflitto, che ha causato un immenso numero di morti. “È fondamentale che cessino le violazioni del diritto umanitario”, afferma il Papa. Il suo pensiero va ai numerosi profughi e la sua gratitudine soprattutto alla Giordania e al Libano, che hanno accolto numerose schiere di persone. Il suo auspicio è che i profughi possano far ritorno in patria in condizioni di sicurezza. Tra chi è toccato dall’instabilità che da anni coinvolge il Medio Oriente vi sono specialmente i cristiani. Per il Papa è “oltremodo importante” che abbiano “un posto nel futuro della Regione” e li incoraggia a fare il possibile per tornare nelle proprie case e comunque a mantenere legami con le proprie comunità d’origine, così come auspica che le autorità politiche garantiscano loro la necessaria sicurezza per permettergli di continuare a vivere nei loro Paesi. La Siria e tutto il Medio Oriente in questi anni – constata il Pontefice – sono stati teatro di scontro di “molteplici interessi contrapposti”: non solo di quelli preminenti di natura politica e militare, ma anche del “tentativo di frapporre inimicizia fra musulmani e cristiani”. E anche se nei secoli fra loro sono sorte non poche inimicizie, in diversi luoghi del Medio Oriente hanno potuto per lungo tempo vivere pacificamente. E un’opportunità per sviluppare ulteriormente il dialogo interreligioso e la conoscenza reciproca saranno proprio i due viaggi che prossimamente il Papa farà nel 2019 negli Emirati Arabi Uniti e in Marocco, nell’ottavo centenario dello storico incontro tra san Francesco d’Assisi e il sultano al-Malik al-Kāmil.
Tra i deboli di cui Paolo VI diceva di sentire di “fare nostra la voce” ci sono, poi, i giovani, protagonisti del recente Sinodo a loro dedicato e della ormai vicina Giornata Mondiale della Gioventù di Panama. Compito della politica – ammonisce il Papa – è di dare loro la possibilità di costruirsi un futuro, trovando un lavoro e formando una famiglia.
Francesco ricorda poi che quest’anno cade il 30.mo anniversario dell’adozione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo.
In questa circostanza non posso tacere una delle piaghe del nostro tempo, che purtroppo ha visto protagonisti anche diversi membri del clero. Gli abusi contro i minori costituiscono uno dei crimini più vili e nefasti possibili. Essi spazzano via inesorabilmente il meglio di ciò che la vita umana riserva ad un innocente, arrecando danni irreparabili per il resto dell’esistenza. La Santa Sede e la Chiesa tutta intera si stanno impegnando per combattere e prevenire tali delitti e il loro occultamento, per accertare la verità dei fatti in cui sono coinvolti ecclesiastici e per rendere giustizia ai minori che hanno subìto violenze sessuali, aggravati da abusi di potere e di coscienza.
L’incontro del Papa con i presidenti di tutte le Conferenze episcopali del mondo, che si terrà a febbraio in Vaticano, intende proprio essere “un ulteriore passo nel cammino della Chiesa” in questo senso.
Nel suo discorso Papa Francesco non dimentica le donne verso le quali nelle nostre società “si sviluppano comportamenti violenti”. Trent’anni orsono, nel 1988, veniva pubblicata la Lettera Apostolica Mulieris dignitatem da San Giovanni Paolo II. Le parole di Francesco sono chiare in questo senso:
Davanti alla piaga degli abusi fisici e psicologici sulle donne, c’è l’urgenza di riscoprire forme di relazioni giuste ed equilibrate, basate sul rispetto e sul riconoscimento reciproci, nelle quali ciascuno possa esprimere in modo autentico la propria identità, mentre la promozione di talune forme di indifferenziazione rischia di snaturare lo stesso essere uomo o donna.
Allargando l’orizzonte, il Papa parla anche delle condizioni dei lavoratori perché il lavoro – se non adeguatamente tutelato – diventa “una moderna forma di schiavitù”. Cento anni fa nasceva l’Organizzazione Internazionale del Lavoro che il Papa auspica continui ad essere esempio di concertazione dinanzi alle sfide del nostro tempo di cui la prima è “il crescente sviluppo tecnologico che sottrae posti di lavoro e il venir meno di garanzie economiche e sociali per i lavoratori”. Ma da affrontare c’è anche la piaga del lavoro minorile così come “una progressiva diminuzione del valore delle retribuzioni” e “la persistente discriminazione delle donne negli ambiti lavorativi”.
Richiamando ancora le forti parole di Paolo VI: “non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!”, Papa Francesco ricorda anche i segnali di pace che ci sono stati nell’anno appena concluso: dallo storico Accordo fra Etiopia ed Eritrea, che ripristina dopo 20 anni di conflitto le relazioni diplomatiche, all’intesa sottoscritta dai leader del Sud Sudan, segno di speranza per l’Africa dove però permangono gravi tensioni e diffusa povertà. Il Papa segue con speciale attenzione la Repubblica Democratica del Congo auspicando che possa ritrovare la riconciliazione e in tal senso ricorda che il “rispetto del risultato elettorale è fattore determinante per una pace sostenibile”. Poi, esprime la sua vicinanza a quanti soffrono per la violenza fondamentalista, specialmente in Mali, Niger e Nigeria, e per le tensioni interne in Camerun. Rileva anche che l’Africa, “al di là di diverse drammatiche vicende”, rivela “un potenziale dinamismo positivo”, radicato nella sua cultura e accoglienza, e un esempio di solidarietà effettiva è costituito proprio dall’apertura delle frontiere per accogliere gli sfollati. Da apprezzare poi che in molti Stati cresca la pacifica convivenza fra credenti di diverse religioni e i progressi di processi democratici, che stanno dando risultati per combattere la povertà assoluta e promuovere la giustizia sociale. Pertanto, il Papa chiede alla comunità internazionale – come ancora più urgente – di favorire lo sviluppo delle infrastrutture, la costruzione di prospettive per i giovani e l’emancipazione delle fasce più deboli.
Segnali positivi vengono dalla penisola coreana dove la Santa Sede guarda con favore al dialogo, augurandosi che si arrivi a soluzioni condivise durature. Analogo auspicio lo formula per “l’amato Venezuela, affinché si trovino vie istituzionali e pacifiche per dare soluzione alla perdurante crisi politica, sociale ed economica”, e per “offrire a tutto il popolo venezuelano un orizzonte di speranza e di pace”.
L’auspicio del Papa è poi che israeliani e palestinesi riprendano il dialogo e raggiungano un’intesa, garantendo la convivenza di due Stati e il conseguimento della pace. E’ quanto mai prezioso “l’impegno concorde della comunità internazionale” per questo e per favorire la pace nell’intera Regione e in particolare in Iraq e nello Yemen.
Il quarto aspetto che Francesco richiama del discorso di San Paolo VI è quello del destino comune, minacciato da sempre più potenti strumenti ribadendo con fermezza la condanna della minaccia dell’uso delle armi nucleari, perché “la loro esistenza è funzionale a una logica di paura”:
Preoccupa specialmente che il disarmo nucleare, ampiamente auspicato e in parte perseguito nei decenni passati, stia ora lasciando il posto alla ricerca di nuove armi sempre più sofisticate e distruttive. In questa sede, intendo ribadire che «non possiamo non provare un vivo senso di inquietudine se consideriamo le catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali che derivano da qualsiasi utilizzo degli ordigni nucleari.
Riguardo ai cambiamenti climatici, anche alla luce del consenso raggiunto alla recente Conferenza internazionale sul clima (COP-24) svoltasi a Katowice, il Papa auspica “un impegno più deciso da parte degli Stati a rafforzare la collaborazione nel contrastare con urgenza il preoccupante fenomeno del riscaldamento globale”. E tra le regioni dove gli effetti dello sfruttamento sono più drammatici c’è l’Amazzonia che in ottobre sarà a centro del Sinodo in Vaticano, dedicato principalmente ai cammini di evangelizzazione, e nel quale vi saranno affrontate anche alcune questioni ambientali in rapporto alle ricadute sociali.
Il discorso del Papa termina con un augurio per l’Italia. L’11 febbraio di 90 anni fa nasceva lo Stato della Città del Vaticano, in seguito alla firma dei Patti Lateranensi, e con il Concordato la Chiesa poté nuovamente contribuire appieno alla crescita spirituale e materiale dell’Italia, una terra che il cristianesimo ha contribuito a forgiare. “In questa ricorrenza – conclude Papa Francesco – assicuro al popolo italiano una speciale preghiera affinché, nella fedeltà alle proprie tradizioni, mantenga vivo quello spirito di fraterna solidarietà che lo ha lungamente contraddistinto”.
Una Nota informativa fa poi sapere che sono 89 le Cancellerie di Ambasciata con sede a Roma, incluse quelle dell’Unione Europea e del Sovrano Militare Ordine di Malta. Hanno sede a Roma anche gli Uffici della Lega degli Stati Arabi, dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Sempre la Nota ricorda – come anche ha fatto il Papa nel suo intervento – che “nel corso del 2018, in data 26 giugno, è stato firmato l’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di San Marino per l’Insegnamento della Religione cattolica nelle scuole pubbliche, ratificato il 1° ottobre seguente. Il 23 agosto 2018 è stato ratificato l’Accordo Quadro tra la Santa Sede e la Repubblica del Benin sullo Statuto Giuridico della Chiesa Cattolica in Benin. Il 22 settembre 2018 è stato firmato l’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei Vescovi in Cina. Inoltre, il 16 luglio 2018 la Santa Sede ha depositato lo strumento di ratifica della Convenzione Regionale dell’UNESCO sul riconoscimento delle qualifiche dell’insegnamento superiore in Asia e nel Pacifico mentre ha aderito, il 21 marzo 2018, all’Accordo Parziale allargato sugli Itinerari Culturali del Consiglio d’Europa. Il 30 novembre 2018, lo Stato della Città del Vaticano è stato ammesso all’Area Unica per i pagamenti in Euro (SEPA)”.
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