L’appello della madre di Kenji Goto è disperato, il secondo in pochi giorni, e a poche ore dalla fine dell’ultimatum lanciato dal califfato per il reporter giapponese così come per il pilota giordano. Il premier nipponico Shinzo Abe ha chiesto la collaborazione della Giordania, alla quale i jihadisti chiedono la liberazione della mancata kamikaze irachena in carcere ad Amman, in cambio della vita dei due ostaggi. L’Is preme sui giordani, secondo gli analisti un evidente segno della debolezza dello Stato islamico che negli ultimi due giorni ha perso anche Kobane, la città siriana simbolo della resistenza curda, al confine con la Turchia, strappata alle mani jihadiste che la assediavano da quattro mesi, dall’azione combinata dei curdi turchi del Pkk, delle milizie curde siriane e dei peshmerga curo-iracheni. Lorenzo Trombetta
, giornalista Ansa a Beirut.https://twitter.com/NiccoloZancan/status/560465132174970881 |
R. – E’ una vittoria simbolica per gli Stati Uniti che guidano la coalizione anti-Stato islamico e per tutti coloro che hanno in qualche modo scommesso e puntato su questa iniziativa militare, ancora molto discussa e molto controversa. Quindi, in qualche modo, è un punto un po’ a favore dell’amministrazione americana, avevano puntato molto, anche a livello di immagine e di icone, sull’intervento per aiutare i curdi di Kobane ed ecco che, dopo quattro mesi di battaglia, anche i raid della colazione, ma soprattutto l’arrivo di armi e degli esperti peshmerga curdo-iracheni, hanno mostrato che un successo minimo sul terreno c’è. Dico minimo perché a livello strategico per i curdi non si aprono grande novità, Kobane rimane comunque ancora una area se non sotto il pieno controllo dello Stato Islamico certamente un territorio dove non sarà così facile avere la meglio, anche perché Kobane è una enclave, ha le spalle coperte dal confine turco. Se le milizie curdo-siriane e curdo-irachene dovessero tentate di andare oltre il territorio che hanno ora in mano, non saremmo così sicuri che potrebbero continuare a sconfiggere lo Stato islamico. Ecco perché la vittoria di Kobane è simbolicamente importante, ma sul terreno cambia poco gli equilibri. E’ un segnale senza dubbio di positività per il fatto che le milizie curde, armate dall’Occidente e sostenute a livello politico-diplomatico anche da russi ed iraniani, in questo specifico caso, hanno dimostrato di essere un po’ gli unici che possono fare il lavoro sporco, che possono cioè andare sul terreno e tentare di sconfiggere lo Stato islamico.
D. – Viene da ricordare ciò che fonti del Pentagono hanno detto non più tardi di pochissimi mesi fa e cioè che prima di arrivare veramente a sconfiggere l’Is ci vorrà una guerra addirittura di tre anni, se non di più…
R. – Sì, ma è impossibile dare delle date, comunque lo Stato islamico c’è e rimane, almeno nei confini disegnati un po’ demograficamente dalla marea arabo-sunnita. Nei luoghi dove si sono spinti oltre: Mosul, Kobane e in aree dove gli arabi e i sunniti sono minoritari e dove la popolazione locale ha un motivo in più per opporsi all’offensiva jihadista, in queste aree per l’Is è più difficile conquistare e tenere il controllo. In altre aree, come abbiamo visto in Iraq e in Siria, nessuno fino adesso è riuscito ad organizzare una armata, un esercito, delle milizie locali, quindi arabo-sunnite, che possano contrastare veramente lo Stato Islamico. I curdi nel nord Iraq gradualmente stanno riprendendo importanti posizioni, ma sempre nell’area che loro considerano propria, i curdi non andranno a combattere più a sud del Kurdistan iracheno. Per i curdi si tratta della difesa dei loro confini, questo è un po’ il discrimine. Quindi, potremo avere ottimi risultati sul fronte curdo, curdo siriano e curdo iracheno, ma non faranno certo il lavoro sporco fuori dalle loro regioni.
https://twitter.com/repubblicait/status/560478430622265345 |
D. – Dai giornali di questi giorni, ancora una volta, si legge delle donne yazide rapite dai miliziani dell’Is, ridotte in stato di schiavitù, stuprate… Oggi si parla delle loro gravidanze non disiderate, perché “figli di terroristi”, e quindi dei loro aborti. Un drammatico destino per queste donne, che le accomuna a tutte le donne sul cui corpo si è fatta la guerra, pensando appunto allo stupro come arma di guerra…
R. – Sì, senza dubbio lo stupro come arma di guerra è uno dei crimini più feroci! La questione va al di là del caso drammatico e più recente delle denunce delle donne yazide. Nella stessa guerra siriana ci sono state, sin dal 2011, denunce di donne siriane per lo più arabe e sunnite, non curde o cristiane, colpite, anche loro, da questo tipo di crimine all’interno delle carceri di regime che ormai, con sempre maggior insistenza, le Cancellerie europee e anche gli Stati Uniti considerano il male minore rispetto all’Isis.
Fonte. Radio Vaticana
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