Professore, otto secoli e il presepe è ancora lì. Perché?
Perché tocca il cuore di tutti. Mette in campo contemporaneamente tre elementi: un bambino che nasce; la gente che va a rendergli omaggio; e, cosa importantissima almeno nella tradizione italiana, la rappresentazione in senso teatrale della fraternità che tutti ci unisce sotto il cielo.
Un presepe corale. Ci sono proprio tutti?
Tutti, animali compresi. E nel presepe napoletano compaiono perfino i personaggi della cronaca, cosa molto saggia dal punto di vista teologico. Gesù nasce per ciascuno di noi, a prescindere da meriti e colpe, se viviamo una vita virtuosa o macchiata dal peccato, di qualunque ceto e professione… Una cosa molto bella, che dovrebbe toccare e convincere tutti.
Non proprio tutti. Anche quest’anno arrivano notizie di presepi proibiti nelle scuole, accusati di creare divisione, addirittura di offendere. Le pare possibile?
Il presepe è un elemento identitario della nostra cultura. I presepi d’arte come quelli popolari e casalinghi. Altrove il presepe si fa, ma non è sentito come da noi in Italia.
Perché?
Noi italiani siamo pieni di difetti, tuttavia conserviamo umanità e senso della fraternità. La nascita di un bambino, il senso del dono del Cielo e dei doni dei pastori, la notte d’inverno… è tutto molto comprensibile e chiaro anche per chi in chiesa non ci va, perché fa parte dell’imprinting italiano. Proibirlo per un malinteso senso di rispetto verso gli stranieri è in contraddizione con l’integrazione. Il marocchino musulmano o il cinese confuciano, se non capiscono il presepe, difficilmente potranno capire un tratto caratteristico del popolo che li sta ospitando.
Fin dall’inizio tutto ciò era così chiaro che gli stessi artisti si sono misurati con il presepe. Può parlarci di alcuni di essi?
Pare che gli animali siano protagonisti a pieno titolo. L’intero creato redento?
Una favola nordeuropea racconta che nella notte di Natale, e solo in quella notte, gli animali parlano: nasce il Salvatore e anche loro si sentono fraterni al miracolo. Mi viene in mente Jacopo da Ponte, detto Bassano (XVI secolo), che dipinge un presepio dove gli esseri umani quasi non si vedono ma ci sono tantissimi animali, mucche, pecore e perfino cani da pastore con il collare ispido di punte, tutti di fretta verso il Bambino.
Finora abbiamo parlato solo di artisti italiani.
Un presepe straordinario, che sottolinea l’aspetto teologico, è il trittico di Hugo van der Goes (XV secolo), conservato agli Uffizi, con il Bambino immerso in una sorta di lago d’oro e gli angeli in vesti sacerdotali, con un mazzo di spighe dorate. I pastori sono d’un naturalismo totale, quasi brutale. C’è un vecchio pastore con il cappello in mano, che sorride mostrando la bocca sdentata, imbarazzato: è la sua, la nostra gioia per il Natale.
Fonte. Avvenire
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