E’ morto all’età di 87 anni Franco Marini. L’ex senatore era stato ricoverato nel reparto Covid dell’ospedale San Camillo de Lellis di Rieti il 2 gennaio, per poi essere dimesso il 27 gennaio.
La sua carriera politica inizia come leader della Cisl, per poi approdare in Parlamento con Democrazia cristiana e passare nel 94 al Ppi, di cui diviene leader. E’ stato ministro del Lavoro nel 1991-92 nel governo Andreotti e presidente del Senato nel 2006-08.
Franco Marini nasce in Abruzzo, in un piccolo paese vicino L’Aquila, San Pio delle Camere. Ma da San Pio, si allontana presto. Il padre faceva l’operaio nella fabbrica della Snia di Rieti e aveva sette figli da crescere. Nonostante le difficoltà economiche, Marini si laurea in giurisprudenza ed entra nella Cisl. La montagna, però, gli è sempre nel cuore: è stato ufficiale negli alpini e ha praticato per anni lo sci alpinismo al Terminillo. E’ Giulio Pastore, il fondatore della Cisl, a notare quel giovane e sanguigno sindacalista e a volerlo nel suo entourage.
Negli anni 70, gli anni della contestazione, diviene il numero due dell’organizzazione. E, nel 1985, il decimo congresso lo incorona segretario generale. Lo chiamano, sbagliando, ”il lupo marsicano” (in realtà il paese di Marini non ha niente a che fare con la Marsica), ma il soprannome gli si adatta bene. Guidare un branco, ma con spirito individualista, pronto a mordere, quando serve, e a tirare dritto per la propria strada: chi lo conosce bene, Franco Marini lo vede così. Poi l’ingresso in politica. Nel 1991 l’anziano leader democristiano Carlo Donat Cattin, a sorpresa, gli affida le sorti della sua corrente. Si chiama ”Forze nuove” ed è un po’ l’avamposto del sindacalismo cattolico dentro la Dc.
Marini non si tira indietro, ma molti dubitano che l’irruento sindacalista abruzzese possa sopravvivere nella giungla democristiana, dove anche i migliori amici sono pronti all’agguato. Invece Marini, che ha un’esperienza quarantennale di vertenze e trattative, si rivela politico accorto e navigato. Sono gli anni di Tangentopoli, e la balena bianca, travolta dagli scandali, perde consensi a vista d’occhio. Marini, comunque, nel ’92 entra in Parlamento e scopre un feeling con Giulio Andreotti, di cui diventa poi ministro del Lavoro. Nel ’97, Mino Martinazzoli gli passa il testimone di segretario del partito popolare, nato sulle ceneri della Dc. Il 29 aprile 2006 viene eletto presidente del Senato, negli anni difficili, per la risicata maggioranza a Palazzo Madama, del governo Prodi II. In occasione del suo discorso di insediamento pronuncia parole che oggi suonano profetiche: “La forza di una democrazia matura come la nostra risiede anche nel saper convergere insieme sulle decisioni e le scelte migliori per il nostro Paese; farlo senza il timore di perdere le nostre identità, che sono un bene prezioso, e le stesse responsabilità che hanno maggioranza e opposizione”.
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