Gli abbracci e i baci, al termine della giornata, sono tutti per lei. E il ministro plenipotenziario di Renzi in questa fase non mette al bando l’opposizione interna del suo partito («Il 10% del gruppo si è intestardito, ma non è del Pd pensare a espulsioni»), che riesce a far crescere a 61 il fronte dei contrari alla nuova legge elettorale. Non è la giornata adatta a mettere in luce il partito spaccato. Piuttosto Boschi risponde al fuoco del capogruppo azzurro Brunetta, di certo il più agguerrito dei suoi avversari: «Ha sbagliato strategia in Parlamento. Non ne ha azzeccata una, ha sbagliato tutte le sue scelte politiche e ora lo ha dimostrato ampiamente».
Comunque, analizza Lorenzo Guerini, «i 61 voti contrari non sono tutti del Pd e non è un elemento che allarma». Il vicesegretario sa però che «c’è da lavorare ancora perché da tutti ci sia un atteggiamento di responsabilità». Di fatto, il Pd resta diviso, ma l’unico dichiaratamente pronto a uscire per ora è Pippo Civati. Al suo fianco scalpitano Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre. I 61 sono per lo più dem (circa 45 rispetto ai 38 dei voti di fiducia, gli altri 16 sono gli ex M5S di Alternativa Libera più Nunzia De Girolamo, di Ncd), i cui dissidenti crescono in occasione del voto finale, ma tra questi c’è anche Romano di Fi, qualche ex grillino del gruppo Misto.
E questo sancisce il fallimento del blitz fortemente voluto in mattinata dal capogruppo azzurro Renato Brunetta, che dopo aver chiesto il voto segreto, convince le opposizioni a uscire dall’aula, con il doppio scopo di evitare tradimenti dei suoi e per far contare i cecchini del Pd.
Ma la maggioranza resiste, Ap è compatta e anche Scelta civica offre il suo contributo. Anzi, rivendica il partito di Zanetti in una nota: «Il voto di oggi dimostra che se la minoranza del Pd si mette di traverso, senza Scelta Civica la maggioranza alla Camera non c’è. È un dato politico di assoluta rilevanza in vista dei futuri interventi di politica economica e di rinnovamento della nostra Pubblica amministrazione».
Interventi sui quali la minoranza dem minaccia di non fare sconti. Bersani, Speranza, Letta e la gran parte dell’opposizione non hanno alcuna intenzione di uscire dal Pd. Ma neppure di farsi da parte. I fronti aperti e molto caldi sono tanti. Compresa la riforma della scuola, su cui la protesta ampia può ben essere cavalcata. Il messaggio al premier resta lo stesso: attenzione ai numeri al Senato, dove l’esecutivo ha un margine molto più ridotto. Ma il clima a Palazzo Chigi sembra più disteso e la possibilità di riaprire il dialogo sui fronti caldi comincia a prevalere.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Avvenire
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