E’ il quarto Natale di Papa Francesco in Vaticano, lontano dalle tradizioni della sua Argentina. Com’era il Natale di Jorge Mario Bergoglio a Buenos Aires? Aleteia lo ha chiesto a Elisabetta Piqué, corrispondente da Roma del quotidiano argentino La Nacion e autrice del libro “Francesco. Vita e rivoluzione” dal quale verrà tratto un film le cui riprese inizieranno tra poco a Buenos Aires.
Quali sono gli elementi caratteristici che nel Natale argentino non devono mancare? Non certo la neve, perché lì è estate…
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Piquè: In Argentina il Natale è completamente diverso dalla tradizionale ambientazione europea appunto perché cade in estate, ma poiché si tratta di una terra di migranti – per metà di origine spagnola e per metà di origine italiana -, le tradizioni sono le stesse, con qualche effetto paradossale. La nonna di una mia amica, ad esempio, cucinava sempre i tortellini in brodo per il pranzo del 25 dicembre, caldo o non caldo.
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E poi ci sono turrones, pan dulce, cioè il panettone, la sidra, il liquore di mele, alimenti sconsigliatissimi da consumare con 40 gradi all’ombra, ma che non possono mancare sulla tavola natalizia che si apparecchia vicino alla piscina…
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Nonostante faccia caldo si allestiscono alberi di Natale e vanno in giro dei Babbo Natale con la barba e il vestito rosso invece del costume da bagno che sarebbe l’abbigliamento più adatto.
E’ un Natale molto strano. Anche perché c’è la luce fino a tardi e non fa buio alla quattro del pomeriggio com’è normale nel Natale di questo emisfero. A mezzanotte, infine, è tradizione dare il via ai fuochi d’artificio come a Capodanno, anche se non c’entrano molto con la nascita di Gesù.
Per ritrovare il Natale di “casa” il papa che può fare?
Piquè: Bergoglio non festeggiava mai in questo modo. Dopo aver celebrato la messa della vigilia in cattedrale, magari verso le 21, spesso è capitato che arrivasse per cena un suo amico ebreo, Claudio Epelmann, il presidente del Congresso ebraico latinoamericano. Un pasto sobrio, asados, carne fredda e insalata russa, proprio perché fa caldo. Altre volte l’arcivescovo andava alle villas miserias, le baraccopoli della capitale argentina. Un sacerdote mi ha raccontato che una volta, dopo la messa si è recato in un carcere per salutare i detenuti. Le guardie lo hanno avvertito: “Arcivescovo, noi adesso chiudiamo: o esce oppure rimane qui stanotte”. E lui è rimasto. Sappiamo che è una persona di grande spiritualità, quindi le tradizioni di festeggiamento non gli sono congeniali. Anche se ha la sua famiglia, per lui Natale è soprattutto una festa interiore. Lo “stile Bergoglio” nasce prima di papa Francesco. Anche i parenti lo dicono: “non è che vedessimo molto lo zio…”.
E’ vero che ama molto i dolci? Quali gli piacciono?
Piquè: Gli piacciono molto gli alfaqores, dei tipici pasticcini argentini con un ripieno di dulce de leche, una crema dolce di latte e zucchero. Anche se non eccede, è vero che Bergoglio ama i dolci. Qualche settimana fa all’udienza generale del mercoledì è venuto l’attore argentino che impersonerà il papa nel film tratto dal mio libro, insieme al produttore e ad altri della produzione. Sapendo di fare una cosa gradita, gli hanno portato una scatola di bonbocitos, cioccolatini, di una famosissima e antica cioccolateria di Buenos Aires, “El Corso”. Tra l’altro, poiché la signora che li ha serviti a “El Corso”, conosceva i gusti di Bergoglio, ha scelto accuratamente i bonbocitos. Di solito il papa fa distribuire molti dei regali che gli fanno, ma pare che quando ha visto la scatola e riconosciuto il nome della cioccolateria, abbia detto: “questa portatela da me…”.
Considerato il suo stile, probabilmente sarà anche un Natale di lavoro: è così?
Piquè: Di sicuro. Lui si dà moltissimo alle persone, cerca sempre di incontrare e dare risposta a tutti quelli che lo vogliono vedere o parlare con lui. Scriverà lettere o telefonerà.
E la riforma della Curia?
Piqué: Prima ancora la riforma del cuore. Basta ascoltare quello che dice tutte le mattine a Santa Marta. Sta chiedendo una riforma del cuore: pastori che portano addosso l’odore del gregge, una chiesa che, come ha detto alla fine del Sinodo, non è rinchiusa in una sfera di cristallo e non condanna, ma cammina con la gente e si preoccupa di curarne le ferite. Nell’intervista che gli ho fatto all’inizio del mese mi ha detto: “la riforma spirituale è la cosa che mi preoccupa di più”.
Qual è l’augurio che più gli sta a cuore per il prossimo anno?
Piquè: Sicuramente la pace. E’ una sua costante preoccupazione. Più di una volta ha parlato quest’anno della “terza guerra mondiale a pezzi”. Pace per il mondo e pace anche per affrontare anche tutti i cambiamenti che sta facendo per il bene della Chiesa.
Di Chiara Santomiero per ALETEIA
Qui l’articolo originale
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