Fermiamoci a contemplare la sagoma della creatura più vicina a Gesù, l’ombra di Maria in alcune pagine dell’Antico Testamento. Quante volte abbiamo pregato la Madonna chiedendole di coprirci con il suo manto! Essere coperti significa essere protetti, difesi, ma anche raccolti, coccolati, direi, quasi addormentati, ma soprattutto amati. Ogni creatura e soprattutto ogni essere umano ha bisogno di essere aiutato, amato. Tutti ci rivolgiamo alle persone delle quali abbiamo fiducia per le più varie necessità della vita. Il bambino si fida della mamma e si nasconde tra le sue braccia e la mamma offre a suo figlio un sicuro rifugio coprendolo con se stessa, magari servendosi della sua stessa veste.
Mantello, abito, veste, hanno il significato di protezione e di amore. Sono il segno di un amore che si riceve e che si vuole dare. Diventano il segno di una gara di amore. Amati si riama. Più si è avvolti da questo amore e più si desidera di unificarci con la persona che ci ama cercando di imitarla. Questo segno diventa, o dovrebbe diventare, la manifestazione esterna di una realtà velata, ma viva, vera. Da parte di Maria questa realtà è perfetta, specchio dell’amore di Dio; in noi è limitata dalla nostra debolezza, a volte anche cattiveria, che ci fa fuggire da questa protezione-amore.
Scendiamo ora nei dettagli. Immergiamoci nella contemplazione del mantello del profeta Elia rapportandolo al manto o abito della Madonna. C’è anche una coincidenza non casuale. Gli avvenimenti che coinvolgono Elia avvengono sul Monte Carmelo, poco lontano da Gerusalemme, la città che rappresenta l’inizio e il compimento della redenzione compiuta da Gesù. Da quel monte, nella storia che stiamo rivivendo, spunta l’immagine di colei dalla quale sarebbe giunta all’umanità la Grazia della salvezza. E’ la famosa apparizione di una “piccola nube” che si ingrandirà coprendo la terra arida e riversando su di essa la benefica pioggia. Il profeta Elia appare negli ultimi capitoli del primo Libro dei Re, nelle vicende del popolo eletto, che si sta dimenticando del Signore. La sua apparizione è improvvisa. Annuncia un castigo per far ravvedere la gente: ci sarà siccità per tre anni e mezzo.
La piccola nube rappresenta il perdono di Dio invocato da Elia. E’ Maria, che, nella storia della salvezza, porta la misericordia di Dio. Amore misericordioso rappresentato dall’acqua che lava, purifica e porta abbondanza, che, con Gesù, diventerà acqua viva, acqua che dà la vita, acqua che trasforma in “sorgente zampillante per la vita eterna”.
Dal 1° libro dei Re (cap.18,41-45):
…” Elia disse ad Acab: «Ora va’ pure a mangiare e bere, perché si sente già il rumore della pioggia». Acab andò, mentre Elia salì sulla cima del monte Carmelo. Si inchinò fino a terra, con la testa fra le ginocchia. Poi ordinò al suo servitore: «Va’ a guardare in direzione del mare». Il servo andò, ma poi tornò a dire a Elia: «Non c’è niente». Per sette volte Elia mandò il servitore a guardare. La settima volta rispose: «Una piccola nube, non più grande del palmo di una mano, sta salendo dal mare». Allora Elia gli disse: «Va’ dal re Acab e digli di attaccare subito i cavalli ai carri e di partire, per non essere fermato dalla pioggia». Nel frattempo il cielo si era riempito di nuvole scure e il vento si era messo a soffiare. Poi cominciò a piovere a dirotto.
Questo testo possiamo considerarlo un preambolo per le prossime riflessioni.
Elia, che rappresenta l’umanità, continua la sua vita oppresso e depresso dalla lotta continua contro il male. E’ stanco. Dio prima lo rifocilla attraverso un altro meraviglioso segno, il Pane disceso dal cielo e offerto da un angelo, poi vuole favorirlo con la manifestazione di una sua presenza misteriosa, ma reale che lo aiuterà ad andare avanti.
1Re 19,4-7
Alla fine si mise sotto una ginestra. Si augurò di morire: «Signore, – disse, – non ne posso più! Toglimi la vita, perché non valgo più dei miei padri». Si coricò e si addormentò sotto la ginestra, ma all’improvviso un angelo lo svegliò e disse: «Alzati e mangia». Subito notò accanto alla sua testa una focaccia, di quelle cotte su pietre arroventate, e una brocca d’acqua. Dopo aver mangiato e bevuto, si mise di nuovo a dormire. L’angelo del Signore lo svegliò una seconda volta: «Mangia ancora, – gli disse, – perché il cammino sarà molto lungo per te».
Elia, riprese le forze, si incammina, ma ha bisogno anche di coraggio. Si ritira in una grotta, dove credeva di trovare rifugio. Ma Dio incalza: “Che fai, Elia?”. Il Profeta confessa il suo zelo per Lui, ma continua ad avere paura. Interviene allora il Signore in persona. Non è infatti nel chiudersi in se stesso che si porta avanti il progetto di Dio. Non è nll’allontanarsi da tutto e da tutti, o il nascondersi alle realtà che sovrastano e che feriscono. Si deve uscire fuori, all’aperto, senza paura, perché c’è Dio. Dio fa superare ogni difficoltà. Certo, fuori c’è il vento delle preoccupazioni umane, che tenta di distruggere ogni sicurezza, ci sono terremoti che sconquassano i beni terreni, c’è il fuoco della vendetta e dell’odio che affoga ogni speranza. Questi ostacoli non sono Dio, non vengono da Dio e neppure lo rappresentano. Si devono sorpassare, perché solo lì, all’aperto, guardando senza vedere, ascoltando senza sentire, si resterà avvolti, inebriati dalla sua presenza ineffabile. I mali del mondo passano. Dio resta. Si deve scoprire. Il Profeta lo riconosce nel “mormorio di un soave silenzio”.
1 Re 19, 11- “…Il Signore rispose ad Elia: – Esci dalla grotta e vieni sulla montagna, alla mia presenza. Infatti il Signore stava passando. Davanti a lui un vento fortissimo spaccava le montagne e fracassava le rocce, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento venne il terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto venne il fuoco, ma il Signore non era neppure nel fuoco. Dopo il fuoco, Elia udì come il mormorio di un soave silenzio (“qol demama daqqa”) . Si coprì la faccia col mantello e uscì…”
Con Dio si può tutto, con Dio si fa tutto. Il profeta, dopo avere gustato quella misteriosa presenza è invitato a godere del suo conforto nell’operare secondo il progetto di Dio. Anche in quel momento, in cui Dio palesa la sua presenza, c’è in gioco un mantello. Dice il libro sacro che Elia “si coprì la faccia col mantello”. Il mantello rappresenta la fiducia, l’abbandono fiducioso e insieme quasi la corazza che lo investe della potenza di Dio. Non ha più bisogno di vedere, di sentire, di farsi guidare, perché ormai è Dio stesso che vive in lui, che opera in lui. E’ il manto della fede che racchiude l’energia necessaria per compiere ciò che Dio vuole, senza correre il rischio di sbagliare o di sentirsi di nuovo abbattuto e stanco, scoraggiato e depresso. Il buio della fede è come la piccola nube del Monte Carmelo che diventata grande, oscura il cielo, prima di riversare il suo torrente di grazie. La nube nera si materializza, coprendo il profeta. Coprirà ogni uomo che scopre nel cuore l’invito del Signore. Quella nube diventa un mantello. La “piccola mano”, che abbiamo visto sul Monte Carmelo, continua a rappresentarci, ad essere, Maria. E’ Maria che oggi “mormora” lo stesso “soave silenzio”, mentre avvolge col suo manto, col suo abito, con la sua fede, i suoi figli.
Stiamo per entrare spiritualmente nel significato dell’abitino o scapolare, come abito della Madonna. Prima di immergerci in questo misterioso dono, prendiamo ancora dal Libro Sacro un’ultima considerazione, che riguarda sempre Elia, ma nel secondo libro dei Re. Il Profeta rivestito della potenza di Dio, opera in suo nome, anzi è Dio stesso che opera in lui e lo strumento è sempre il mantello:
2 Re 1, 19-20:
“Mentre tornava dal monte Oreb, Elia incontrò Eliseo, figlio di Safat, intento ad arare. Davanti a lui c’erano dodici paia di buoi. Eliseo guidava l’ultimo paio. Nel passargli accanto, Elia gli stese sopra il proprio mantello. Eliseo lasciò i buoi, corse dietro a Elia e … lo seguì come suo aiutante”.
Prima di terminare la sua missione, il profeta, non solo invita, ma investe Eliseo della medesima potenza, col suo manto. Poi è ancora il mantello, raccolto nel momento del distacco che opera:
2 Re 1, 11-14:
“… Un carro di fuoco con cavalli di fuoco passò in mezzo a loro. Elia fu rapito in cielo in un turbine di vento. Eliseo riuscì a vedere e gridò: «Elia, padre mio! Difesa e forza d’Israele». Poi non lo vide più. Allora, per il dolore, strappò in due i suoi vestiti. Raccolse il mantello che era caduto a Elia, tornò indietro e si fermò in riva al Giordano. Prese il mantello d’Elia, lo sbatté contro le acque del fiume e invocò: «Signore, Dio d’Elia, dove sei?». Poi, come aveva fatto Elia, colpì le acque ed esse si divisero in due: egli poté attraversare.
E’ la trasmissione dei poteri di Dio, che da Elia passano ad Eliseo, sempre attraverso il mantello.
Il manto, dunque, come già detto, oltre a significare difesa, protezione, amore, è presenza attiva e operante, che sviluppa “un’ardente passione”, chiamata “zelo”, in chi ne è rivestito. E’ il dono di un fuoco che arde nel cuore e che si trasmette agli altri.
Prima di andare avanti per portare questo segno ai nostri giorni, diamo uno sguardo anche al Nuovo Testamento.
Quante volte nel Vangelo si parla di manto o mantello, o, semplicemente, di veste, panno, fasce! Maria ne è la prima artefice. Avvolge Gesù, appena nato, in fasce. Chissà quante volte avrà coperto con la sua veste Gesù, da piccolo, stretto a sé! E con quanto amore l’avrà fatto! Avrà avvolto l’Amore con il suo amore materno. Uno scambio di amore fuso in quel gesto, in quella veste. Nella sacra famiglia chissà quante volte Maria avrà cucito per sé, per Giuseppe e per Gesù, ormai cresciuto, quello zinale o grembiule che dalle spalle scendeva sul petto fino alle gambe, per riparare il vestito da eventuali macchie inevitabili durante il lavoro! Si usava anche allora, anzi dai tempi antichi si chiamava “scapolare”, perché scendeva giù dalle spalle o scapole. Anche allora con quanto amore! Perché non ricordare quella donna malata che volle toccare la veste di Gesù per essere guarita? Anche quella veste l’aveva certamente fatta Maria: un’altra fusione di amore concretizzata nel miracolo. Poi, purtroppo, l’ultimo riferimento ci fa rivivere il momento più doloroso della vita di Gesù e della Madonna, la crocefissione: “gli tolsero le vesti, le divisero stracciandole, e la tunica, perché senza cuciture, la tirarono a sorte”… Senza cuciture! Immaginiamo le giornate di Maria, a Nazaret, intenta a tessere, comporre quell’abito, quelle vesti. Forse fu il primo abito di Maria finito fuori della famiglia, a gente che non si conosceva, addirittura a pagani. Maria lo vide, ma aveva altro da pensare in quei momenti. La tradizione vuole che, nonostante tutto, la potenza di Gesù, e perciò il suo amore, contagiasse coloro che ne erano diventati i nuovi possessori [come dal film “La tunica”]. L’abito di Maria arricchito dalla presenza di Gesù, che ne era stato avvolto, non poteva non produrre ciò che significava!
Dopo questi accostamenti e interpretazioni spirituali, eccoci a narrare la storia di un altro abito offerto da Maria con il medesimo significato e la medesima potenza impressa da Dio. Devono passare più di mille anni. Nel medesimo luogo, il Monte Carmelo (allora Palestina, oggi Israele), nei primi decenni del mille, troviamo alcuni uomini, che potremmo chiamare successori dei profeti. Forse erano stati attirati dalla storia sopra descritta o comunque dalle tante citazioni della Bibbia su quei luoghi benedetti, considerati un meraviglioso giardino, quasi immagine, o addirittura angolo del paradiso terrestre. Da quanto tempo esisteva questa successione di profeti non è dato saperlo. Di sicuro si sa che dalle grotte, attribuite alla scuola dei profeti del tempo di Elia, quelle persone erano passate alla costruzione di un vero e proprio monastero. Erano eremiti, ma non isolati, avevano una certa vita in comune. Soprattutto in comune era la meditazione “notte e giorno della legge del Signore” (Regola carmelitana), cioè della Parola di Dio. Venivano dai più differenti paesi che si affacciavano sul mare Mediterraneo. Molte occasioni erano date dalle crociate di quei tempi. Vegliando in preghiera il pensiero non poteva non fermarsi sulle vicende riportate dalla Bibbia su Elia, che li aveva preceduti nella fede e nello zelo per la gloria di Dio. Preghiera e lavoro dei campi faceva elevare lo sguardo al cielo, quel cielo dove apparve la famosa nuvoletta “simile a mano di uomo”.
Di chi era quella mano? Cosa poteva rappresentare quel piccolo segno che si sarebbe trasformato in pioggia benefica e abbondante? Così nacque l’interpretazione sulla Madre di Gesù che avrebbe irrorato la terra. Piccola ombra dell’onnipotenza di Dio Salvatore. Da nube l’invocazione passò a “stella del mare” con il riflesso della Luce di Cristo, nato da lei, ma tanto vicina al mare della nostra vita. Vicina, ispiratrice e collaboratrice nella missione ricevuta da Dio che quegli eremiti volevano perpetuare, attraverso il distacco dal mondo e soprattutto l’unione intima e profonda con Gesù. Che Maria fosse Madre lo sapevano dal Vangelo, attraverso il racconto della consegna fatta a Giovanni ai piedi della croce: “Ecco tua Madre!”, ma preferirono chiamarla “sorella” per mettere in risalto l’essere collaboratori, cioè “lavorare insieme” per il Regno dei Cieli. Così nacque il nome di “fratelli della Beata Vergine del Monte Carmelo” Doppio titolo che li spinse a creare una cappella a lei dedicata, dove immergersi nel “mormorio di soave silenzio”, cioè nella presenza di Dio, accompagnati da Maria. Il gruppo rivisse lo spirito di Elia. Ripercorse la sua strada dall’Eucarestia, quel pane offerto al Profeta dall’angelo, all’invito di uscire dal ritiro nella grotta.
Si deve incontrare Dio! Fuori c’è quella nuvoletta, ormai permanente, che non solo indica la venuta della pioggia, ma la porta, basta non sottrarsi alla sua irrorazione. E il manto? Sì, anche il manto ha la sua parte. Il profeta si coprì col manto dopo avere constatato la presenza di Dio; gli eremiti cercarono di rivestirsi delle virtù cristiane, allora dimenticate a causa delle guerre Crociate, che, seppure mosse dal buon fine di difendere la Terra Santa, univano i popoli nelle lotte armate, nell’astio, nell’odio, tappezzato di sangue. Si sentì nostalgia della pace, di un manto di pace che li potesse coprire, appartare e nascondere agli occhi del mondo per dedicarsi alla richiesta di pace nella preghiera. Sì, mancava la pace e il primo a rimetterci era il cuore. Molti degli ospiti di quelle grotte venivano da battaglie, anche forse vinte, ma indeboliti spiritualmente. Cercavano Dio e la ricerca era fatta con la Sorella, la Vergine Maria, che sovrastava con la sua tenue ombra e che invitava a sentire quel “mormorio”, silenzioso, impercettibile alle orecchie umane, ma fiamma ardente nel cuore. Sono, diventano i carmelitani ai quali batte il cuore all’unisono con Maria. La sorella comunica ai fratelli l’ansia di Dio, lo zelo di Elia, che spinge a rafforzare la vita comunitaria del gruppo. Si invita il Patriarca di Gerusalemme, Alberto, perché stili una norma di vita da fare approvare dal Papa. E’ la regola sulla quale ancora oggi poggia la loro vita. Ci sono, sì, dei suggerimenti pratici adatti a quei luoghi e a quei tempi, ma il fondamento è la Parola di Dio. Il Vescovo esperto, oltre che nella conoscenza, nell’assimilazione del messaggio evangelico, in poche righe lo riassume, citando brevi tratti soprattutto del Vangelo e di san Paolo. E’ l’esca per accendere il fuoco dell’amore di Dio. La fede è scudo. Il manto di Maria, madre e sorella, è protezione.
Continuiamo con la storia.
Nel mille e duecento devono abbandonare quei luoghi. Occasione che fa realizzare un piano di Dio. L’Europa li attende e li abbraccia, ma non possono sfuggire alle trame del diavolo che “come leone ruggente” cerca di divorarli.
Devono lasciare la vita eremitica, e, ormai carichi di Dio, si sentono di poter trasmettere agli altri ciò che hanno preso dall’incontro con Dio. Nascono i conventi, parafulmini e rifugio nelle tempeste del mondo. La lotta per sopravvivere a volte è dura. Come vincere? Il silenzio, la preghiera e la contemplazione diventalo l’ “armatura” per rafforzare la fiducia nell’intervento divino. Maria segue i suoi fratelli e figli con attenzione, come alle nozze di Cana. Prega con loro e prega per loro. E Dio la manda a porgere anche fisicamente un’ancora di salvezza, una protezione tangibile.
Mille e duecento cinquantuno.
Mentre sembra affievolirsi la speranza di poter sopravvivere, il superiore generale, accompagnato dalle lacrime e suppliche dei suoi carmelitani, invoca Maria come “Fiore del Carmelo” (canto tradizionale dell’Ordine: “Flos Carmeli”). La Madre e sorella non si fa attendere, gli appare garantendo la fine delle persecuzioni e gli offre un segno della sua protezione, non solo temporanea, ma permanete per la vita presente e per quella futura. E’ il suo manto. Anzi è l’abito già vestito dai carmelitani che prende tra le mani e lo trasforma in suo. “Ecco -dice- chi vivrà ricoperto da questo abito sentirà la mia protezione nella vita attuale e all’ingresso di quella futura”. Per cui non solo sopravvivenza, ma vita eterna! Solleva, quasi sfilando lo scapolare del vegliardo generale, facendolo ricadere impreziosito da questa promessa. Non è più un pezzo di stoffa, ma caparra per la realizzazione di quanto offerto.
I religiosi cominciarono a venerare questa striscia di stoffa che scendeva sopra la tonaca dalle spalle a terra. Ancora oggi, lo baciano e gli prestano un vero e proprio culto: è l’abito della Madonna! Per motivi pratici e per non distaccarsene mai, fu nel tempo anche ridotto. Col tempo la gente desiderò di esserne rivestita per partecipare agli stessi privilegi, nacquero così le confraternite del santo Scapolare. Questa devozione è riconosciuta, approvata e incrementata da diversi Papi. Il primo fu Giovanni ventiduesimo (1316-1322) che la tradizione vuole sia stato anche il primo a sottolinearne la potenza, anche dopo la morte. Sembra che avvenne dopo un’apparizione della medesima Vergine Santissima, che gli avrebbe assicurato questa protezione aggiungendo che sarebbe discesa nel purgatorio per portare in Paradiso, il sabato dopo la morte, chi fosse stato rivestito di questo Scapolare. Quest’ultima promessa, chiamata “privilegio Sabatino”, fece da allora invocare la Madonna del Carmine anche con il titolo “delle anime del Purgatorio”.
Portare lo Scapolare o fare parte della sua confraternita realizza una specie di consacrazione al Vangelo. Ha due vantaggi: “portandolo” (mantenendolo, cioè, a portata di mano o di vista) è risveglia la memoria a vivere il messaggio di Gesù e, il più importante, la Madonna stessa garantisce un aiuto non solo a ricordarlo, ma a farlo mettere in pratica. Non è un talismano, cioè un qualcosa che automaticamente fa ottenere ciò che la Madonna ha promesso, e neppure un semplice ornamento, tanto più che essendo di stoffa è grezzo e poco apprezzato. L’abito o il vestito della Madonna dovrebbe rappresentare le sue virtù delle quali si desidera essere rivestiti, cioè messe in pratica. Si riceve con questa aspirazione che deve crescere, la meta può essere racchiusa nell’espressione di una vita “con Maria e come Maria”. Sono suggerite alcune pie pratiche, prima fra tutte quella dell’ascolto del Signore “notte e giorno” attraverso il confronto con la Parola di Dio. Per arrivare a questo è necessaria la preghiera, quella oggi chiamata silenziosa o del cuore, che riesce, come il profeta Elia, a sentire Dio nel “mormorio di un soave silenzio”. Maria, sorella e madre, è la guida. La sua vita e le sue virtù sono il tracciato da percorrere per arrivare a raggiungerla nel Regno dei cieli. Esternamente, ma sempre accompagnata con il cuore, ciascuno propone qualcosa da offrire alla Vergine Santissima, Regina e Madre del Carmelo, soprattutto il sabato, giorno particolarmente a lei dedicato. Ovviamente l’Eucaristia e il Rosario fanno da corona a tanti altri piccoli sacrifici o preghiere che aiutano a seguire Maria. Un esempio valido, oggi, è offerto dalla vita di santa Teresa di Gesù Bambino.
Una interessante testimonianza.
Giovanni Paolo II, più di qualche volta, ha parlato dello Scapolare della Madonna del Carmine. Ne riportiamo qualche esempio. Nella visita alla parrocchia Regina Mundi di Roma, il 14 dicembre 1986, accennando all’Abitino disse: “lo porto da tanti anni”. In altra occasione: “sono legato a questa tradizione carmelitana dai miei anni più giovanili” (La Traccia, 91, 156-159). Ancora: “per la tradizione del sacro Scapolare a cui sono legato dagli anni della fanciullezza” (INS XVI/2/93, 13), e: “Anch’io porto sul mio cuore da tanto tempo lo Scapolare del Carmine!” (Lettera per i 750 anni dello Scapolare).
di Padre Raffaele Amendolagine
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