Antonella Palermo – Città del Vaticano per Vaticannews.va
Avvolti dal vento di una luminosa giornata d’autunno, leader religiosi e politici si raccolgono tra le splendide rovine della Roma antica, davanti al Colosseo, nella coralità della cerimonia di chiusura della 35ma edizione dell’Incontro per la Pace promosso dalla Comunità di Sant’Egidio: “Popoli fratelli, terra futura. Religioni e Culture in Dialogo”. Partecipa anche Papa Francesco, prendendo la parola dopo gli interventi di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità, della cancelliera Angela Merkel, del Grande Imam di Al Azhar Aḥmad al-Ṭayyib, del rabbino capo di Mosca Goldsmith. Sottolinea l’importanza di pregare e condividere, “in modo limpido e accorato, le preoccupazioni per il presente e l’avvenire del nostro mondo” perché la preghiera “disarma i cuori dall’odio”. E ricorda – come aveva fatto poco prima lo stesso Rabbino – l’uso che nell’antichità si faceva del Colosseo sfruttato come arena per i combattimenti, che definisce “spettacolo fratricida, un gioco mortale fatto con la vita di molti”. Oggi non è così, ma il cuore e i pensieri del Pontefice corrono alla violenza e alla guerra cui si assiste nel mondo: la sua forte preoccupazione è l’anestesia della compassione, l’indifferenza.
Avere il coraggio della compassione
L’atteggiamento che il Papa denuncia è quello di chi assiste al dolore dell’umanità ferita “quasi fosse un gioco guardato a distanza”, perché “il dolore degli altri non mette fretta”, dice. Cita i caduti, i migranti, i bambini intrappolati nelle guerre, privati della spensieratezza di un’infanzia di giochi, e invita:
Occorre, al contrario, entrare in empatia e riconoscere la comune umanità a cui apparteniamo, con le sue fatiche, le sue lotte e le sue fragilità. Pensare: “Tutto questo mi tocca, sarebbe potuto accadere anche qui, anche a me”. Oggi, nella società globalizzata che spettacolarizza il dolore ma non lo compatisce, abbiamo bisogno di “costruire compassione”, costruire compassione. Di sentire l’altro, di fare proprie le sue sofferenze, di riconoscerne il volto. Questo è il vero coraggio, ‘il coraggio della compassione’, che fa andare oltre il quieto vivere, oltre il ‘non mi riguarda’ e il ‘non mi appartiene’.
Deporre il tragico e prolifico commercio delle armi
Il Papa ribadisce – citando un passaggio della Fratelli tutti – che la guerra è il fallimento della politica e dell’umanità. “Dobbiamo smetterla di accettarla con lo sguardo freddo della cronaca”, scandisce. L’appello è a “non lasciare che la vita dei popoli si riduca a un gioco tra potenti”:
La vita dei popoli non è un gioco, è cosa seria e riguarda tutti; non si può lasciare in balia degli interessi di pochi o in preda a passioni settarie e nazionaliste. È la guerra a prendersi gioco della vita umana. È la violenza, è il tragico e sempre prolifico commercio delle armi, che si muove spesso nell’ombra, alimentato da fiumi di denaro sotterranei.
Più vaccini, meno fucili
I sofferenti, gli oppressi, le vittime dell’odio, gli scartati – di cui i leaders delle religioni devono farsi voce – temono perché in varie parti del mondo il confronto militare prevale sul dialogo e la cooperazione. Sulla base di questa constatazione, il Papa rievoca il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune – firmato ad Abu Dhabi insieme al Grande Imam di Al Azhar, tra i presenti all’evento organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio – e ripete le parole che usò due anni fa proprio negli Emirati Arabi Uniti: la necessità di “smilitarizzare il cuore dell’uomo”.
Con parole chiare incoraggiamo a questo: a deporre le armi, a ridurre le spese militari per provvedere ai bisogni umanitari, a convertire gli strumenti di morte in strumenti di vita. Non siano parole vuote, ma richieste insistenti che eleviamo per il bene dei nostri fratelli, contro la guerra e la morte, in nome di Colui che è pace e vita. Meno armi e più cibo, meno ipocrisia e più trasparenza, più vaccini distribuiti equamente e meno fucili venduti sprovvedutamente.
Disinnescare i fondamentalismi religiosi
San Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986 avviò quel cammino di preghiera per la pace che Sant’Egidio ha voluto mantenere acceso catalizzando annualmente le energie di capi religiosi e leader politici e istituzionali. Nel ricordare quello spirito originario, Francesco sottolinea che tanto cammino è stato fatto da allora nella strada della condivisione e del dialogo, un cammino che presuppone la costante purificazione del cuore. “Se c’è chi vuole dividere e creare scontri – dice il Papa – noi crediamo nell’importanza di camminare insieme per la pace: gli uni con gli altri, mai più gli uni contro gli altri”. Si sofferma, poi, sui rischi che nelle religioni si insinui l’idea di fare del fratello un nemico:
La pace non è anzitutto un accordo da negoziare o un valore di cui parlare, ma un atteggiamento del cuore. Nasce dalla giustizia, cresce nella fraternità, vive di gratuità. Spinge a «servire la verità e dichiarare senza paure e infingimenti il male quando è male, anche e soprattutto quando viene commesso da chi si professa seguace del nostro stesso credo» (Messaggio ai Partecipanti al G20 Interfaith Forum 2021, 7 settembre 2021). In nome della pace disinneschiamo, vi prego, in ogni tradizione religiosa, la tentazione fondamentalista, ogni insinuazione a fare del fratello un nemico. Mentre tanti sono presi da antagonismi, fazioni e giochi di parte, noi facciamo risuonare quel detto dell’Imam Ali: “Le persone sono di due tipi: o tuoi fratelli nella fede o tuoi simili nell’umanità. Non c’è un’altra divisione”.