Londra domani alle urne, incombe il pareggio

Basta il nome per evocare splendide ville, giardini curatissimi, negozi eleganti. E, in politica, una solida maggioranza conservatrice. Eppure anche qui a Kensington, una delle zone più note di Londra, non tutto è come sembra, soprattutto alla vigilia delle elezioni più incerte della storia britannica recente. Kensington è il microcosmo ideale per osservare il Regno Unito. Ha il secondo reddito medio di tutta Londra, scuole private da decine di migliaia di sterline l’anno, cliniche sanitarie di primo livello. Eppure questa ricchezza non è divisa equamente, tanto che il collegio elettorale racchiude anche livelli altissimi di povertà, quasi tutta concentrata nella zona nord. Come a Norland, Colville, St. Charles, Notting Barns, Golbourne.

Portland Road, ad appena una fermata di metro da Notting Hill, è l’emblema di ciò che rischia di diventare l’intero Regno Unito. Da un lato della strada, vicino a Hollande Park, case che arrivano anche a 6 milioni di sterline e vetrine da cui spuntano giacche di cachemire che ne costano 400, dall’altro due complessi popolari degli anni Trenta ospitano gli inquilini “storici” del quartiere che dipendono dai servizi sociali. «Qualche tempo fa c’era anche una barriera spartitraffico a dividerci dai vicini ricchi, l’avevamo ribattezzata “il muro di Berlino”», spiega Richard, uno degli inquilini delle residenze in mattoncini rossi di Winterbourne House, appartamenti “di ringhiera”, qualche lenzuolo steso ad asciugare, una composizione sociale certamente più multietnica del resto del quartiere. 

La disuguaglianza è il tema per eccellenza di questa tornata elettorale. Ed è palesemente evidente nel contrasto tra i molto ricchi e i molto poveri osservato nello spazio di un incrocio stradale. Il premier conservatore David Cameron ha dalla sua i risultati macroeconomici raggiunti in cinque anni di governo insieme ai liberaldemocratici: crescita al 2,6% nel 2014 e 3,5% quest’anno, disoccupazione crollata al 5,6%. Eppure, a partire da Kensington, resta il racconto di 
due città diverse, di due mondi che non s’incontrano. Non tutti, infatti, godono di questo mini-boom, che tende anzi ad allargare la forbice sociale. «Riesco ad andare avanti solo grazie al sussidio sociale – sottolinea Laura, 58 anni, che distribuisce giornali gratuiti all’angolo della strada – ma se continueranno a diminuirli dovrò andare via da qui, è troppo caro». In questo esclusivo collegio elettorale, più della metà dei bambini frequenta scuole private, ma il 35% di quelli iscritti alle scuole pubbliche ha i «requisiti di povertà» per la mensa gratuita, il doppio della media nazionale. La stessa aspettativa di vita nelle zone più povere è di 11 anni inferiore a quella delle “strade ricche”. 

Riusciranno i laburisti di Ed Miliband a intercettare tutto questo disagio? Ad avvantaggiarli è l’immagine che Cameron non è mai riuscito a scrollarsi di dosso, quella di chi ha studiato all’esclusiva Eton e frequenta solo giri di un certo lignaggio. Così, anche se la maggior parte dei britannici assegna a lui la palma di candidato premier con maggior competenza in ambito economico, la partita è in bilico. 


Alla vigilia del voto i sondaggi danno i due principali partiti sullo stesso livello (34%). Il computo dei seggi dice che nessuno domani notte potrebbe formare una maggioranza da solo, portando all’“Hung Parliament”, al Parlamento appeso, bloccato. In parole povere, al caos. Cameron potrebbe puntare a una riedizione della coalizione con i lib-dem, ma, avendo promesso un referendum sulla permanenza nell’Ue nel 2017, la coabitazione con gli europeisti di Nick Clegg non sarebbe facile. Sulla questione, peraltro, proprio ieri Clegg ha lasciato la porta aperta. Secondo gli analisti è Miliband, però, ad avere più chance di coalizzare il consenso necessario per governare. Anche se ciò vorrebbe dire accettare di essere condizionato al governo dall’appoggio esterno dei nazionalisti scozzesi dell’Snp, indiscussi protagonisti di questa campagna elettorale e speranzosi di aggiudicarsi tutti e 59 i seggi al di là del vallo di Adriano.

Qui a Kensington, per la prima volta da decenni, i laburisti ci credono. Il loro candidato, il docente universitario Rod Abouharb, figlio di emigrati siriani, è da un mese in giro porta a porta. Il tema da battere è la casa: secondo una ricerca, per comprare un’abitazione nel quartiere serve oggi uno stipendio da 250mila sterline l’anno. «I miei genitori vivono qui dagli anni Settanta in una casa popolare, quando sarò io a sposarmi però non potrò mai permettermi di restare nel quartiere in cui sono cresciuta», ammette Helen, 22 anni, commessa. Per i conservatori la ricca Kensington – dove risiedono anche il principe William e Kate – è da sempre il collegio sicuro per eccellenza, ma ora anche questo seggio sembra traballare. La loro candidata è Lady Victoria Borwick, vicesindaco della capitale: toccherà a lei l’“infamia” della sconfitta?

«Ho votato per i conservatori l’ultima volta perché credevo nel loro programma economico – spiega Andrew, portinaio – i risultati sono arrivati, ma al costo di tagli al welfare enormi: basti pensare alla bedroom tax». La “tassa sulla stanza da letto” è forse la misura più odiata: è stata introdotta due anni fa e si traduce in riduzioni significative di sussidi sociali (fino al 25%) per le famiglie più bisognose cui è stata concessa un’abitazione con una stanza in più rispetto alle loro reali esigenze. 

Cameron ha annunciato che taglierà altri 12 miliardi dal budget del welfare per ridurre il deficit: non ha specificato in che direzione andranno i tagli, smentendo solo che non riguarderanno i sussidi per l’infanzia. Miliband è andato all’attacco, promettendo investimenti sulla sanità, con l’assunzione di 8mila nuovi dottori e 20mila infermieri, il tutto finanziato da una tassa sulle abitazioni di lusso. Il suo stile è lontano dalla brillantezza di Tony Blair, non fa sognare e punta quasi tutto sulla delusione del ceto medio nei confronti del governo in carica. Difficile dire se le sue promesse basteranno per farlo entrare a Downing Street.

Di Paolo M. Alfieri per Avvenire

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