LA BATTAGLIA DI LUCA – Lui è un bimbo di 8 mesi e ha un idrocefalo, è una condizione che causa un accumulo di liquido nel cervello e un alto rischio di danni alle cellule celerali.
Bisogna quindi drenare questi liquidi dal cervello verso le cavità peritoneali (la pancia dove possono essere assorbiti) mediante valvole e cateteri detti shunt. All’inizio di aprile il bambino ha avuto dei problemi alle valvole. Quando si è presentato all’Ospedale Irccs Policlinico di Milano e gli hanno fatto il tampone scoprendo che era positivo al Covid – 19, così come sua mamma.
Locatelli, professore associato di Neurochirurgia all’Università di Milano, a ha spiegato su Il Corriere: “Il piccolo aveva i classici sintomi da cattivo funzionamento dei drenaggi per l’idrocefalo: vomito e irrequietezza. E una raccolta del liquido cerebrale nel cervello, documentata da una Tac. In più aveva anche sintomi lievi da infezione da Coronavirus, ma nessun segno di polmonite, come accertato con una radiografia del torace. Le sue condizioni non erano critiche, ma bisognava comunque intervenire con rapidità“.
Non si trattava di un problema facile da risolvere, perché l’idrocefalo era stato determinato da una meningoencefalite che gli aveva alterato i tessuti cerebrali. La situazione era quindi delicata, resa ancora più difficile dalla presenza del Coronavirus.
L’anestesia al bimbo avrebbe potuto deprimere ulteriormente la risposta immunitaria, già debilitata dal Covid. Inoltre il paziente era in cura con farmici anti epilettici. “Ci siamo presi le nostre responsabilità. Siamo intervenuti una prima volta, con il piccolo in anestesia totale, per modificare lo shunt. Non ha funzionato. Lo abbiamo rifatto con successo una seconda volta, dopo due giorni, di notte: abbiamo finito all’una e mezza, dopo un intervento durato più di un’ora. E il piccolo ce l’ha fatta!” hanno detto i due neurochirurghi Marco Locatelli e Giorgio Carrabba.
Il caso, come accennato, era così complesso da finire citato anche sul The Lancet, rinomata pubblicazione scientifica. Il dottor Locatelli ha precisato: “La cosa più stressante è stata operare con tutti i dispositivi di protezione. Che limitano anche la manualità in sala operatoria, soprattutto quando si eseguono interventi delicati come quelli di neurochirurgia“.
I medici che hanno operato il piccolo indossavano: due mascherine più visiera, sotto di esse una specie di passamontagna, due camici, i calzari e i doppi guanti. (www.universomamma.it – Maria Sole Bosaia)
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