Categorie: Caritas et Veritas

Luca Chang, da Nanchino a Seoul per dire ‘grazie’ al Papa: La Chiesa cinese ti ama!

Il giovane ha vinto una borsa di studio in un’università’ coreana, riuscendo a venire nella penisola durante la visita apostolica di Francesco. Insieme a due amici seminaristi, partecipa alla Giornata asiatica della Gioventu’ e spera di incontrare presto il pontefice: “Il nostro governo e’ schizofrenico nelle sue politiche religiose, ma noi non ci badiamo piu’ di tanto. E ormai i sacerdoti vicini alle autorita’ li chiamiamo ‘Guardie Rosse’. L’importante e’ essere qui e dimostrare l’unita’ della Chiesa universale anche nei momenti difficili”.

Da Nanchino a Seoul, passando per Pechino, per dire “grazie” al Papa e dimostrare con i fatti l’unita’ della Chiesa universale e l’amore dei cattolici cinesi per il Papa nonostante le persecuzioni del governo. Luca Chang – il nome e’ di fantasia per sua esplicita richiesta – ha impiegato quasi due giorni per raggiungere la penisola coreana, nonostante la breve distanza geografica. Per arrivare in mezzo agli altri ragazzi del continente, e festeggiare con loro e con Francesco l’apertura della Giornata asiatica della Gioventu’, ha dovuto infatti attendere un visto studentesco che e’ arrivato nella capitale cinese solo all’ultimo momento. Quasi nelle stesse ore in cui, purtroppo, un altro gruppo di giovani cinesi veniva bloccato dalle autorita’ nella capitale

 e costretto ad annullare la visita in Corea per “irregolarita’ burocratiche”.

Luca e’ arrivato a Seoul con due amici, entrambi seminaristi di un’altra diocesi (nel centro del Paese), e tutti e 3 erano presenti ieri nel grande Stadio mondiale di Daejeon per la solenne messa dell’Assunzione celebrata da papa Francesco. I due seminaristi, al terzo anno, erano orgogliosamente vestiti da sacerdoti: “Abbiamo chiesto al nostro vescovo – dice uno dei due, che ha lo stesso cognome di un presule molto famoso in Cina – e lui ci ha detto ‘Andate vestiti da preti e dite al Papa che la nostra Chiesa e’ viva e lo ama!’. Non siamo riusciti ancora a vedere il Santo Padre, ma sono convinto che ce la faremo”.

Per il piccolo gruppo, che fa parte di una piu’ ampia delegazione di circa 120 cinesi continentali presenti in Corea per la Giornata asiatica della Gioventu’, la distinzione fra Chiesa ufficiale e non ufficiale “non conta poi tanto, almeno nella nostra diocesi. Nonostante quello che dice il governo, noi siamo fedeli al Papa e il nostro vescovo è riconosciuto dalla Santa Sede. Certo, ci sono alcuni sacerdoti piu’ vicini al governo che a volte lo criticano e criticano anche noi. Ma non ce ne curiamo piu’ di tanto, e li prendiamo in giro chiamandoli ‘Guardie Rosse’. L’importante per noi e’ essere qui, per dire grazie a Francesco e conoscere tanti altri cattolici del nostro continente”.

Luca, l’universitario, la pensa allo stesso modo: “Ci sono problemi in alcune zone della Cina, come Shanghai, dove la situazione della Chiesa e’ ormai una sorta di puntiglio politico per il governo. Ma in altre si vive abbastanza normalmente. Quello che mi disturba e’ che non ci sia una politica ufficiale riguardo la religione cattolica: a volte i nostri leader sono tranquilli, altre sembrano arrabbiatissimi e trattano i cattolici come traditori della patria. Certo, dipende anche dai funzionari locali: un mio amico sacerdote e’ stato arrestato per due giorni solo perche’ riusciva antipatico ad un capitano di polizia del suo distretto, che ha usato la fede come scusa per dargli fastidio”.

Il cruccio di Luca e’ ben rappresentato dalle ultime mosse di Pechino relative all’arrivo del pontefice in Corea. Da una parte hanno concesso il permesso di sorvolare lo spazio aereo, hanno ricevuto (anche se in ritardo per ‘motivi tecnici’) il telegramma papale e hanno risposto con una frase del ministero degli Esteri, che si e’ detto “disposto a costruire rapporti con il Vaticano”. Dall’altra hanno bloccato un grande gruppo di giovani cattolici che voleva venire a Seoul per incontrare Francesco, hanno richiamato diversi sacerdoti cinesi che operano in Corea e ne hanno minacciati molti altri di “problemi” al rientro in patria.

Secondo il giovane cattolico, tutto questo “fa parte di un disegno piu’ grande, che secondo me non riguarda neanche troppo la Chiesa. I politici si stanno facendo la guerra fra di loro, e bisogna capire chi vincera’ prima di avere una linea chiara sui cattolici. Per quanto mi riguarda, io sono onorato e felice di poter essere qui. Mi fermero’ un anno a Seoul dopo la partenza del Papa, perche’ ho vinto una borsa di studio in una universita’ coreana, e ho intenzione di vivere meglio e con piu’ liberta’ la mia fede”.

Una fede conosciuta tardi grazie a una storia piuttosto triste: “Fino ai 10 anni ho vissuto con i miei genitori in periferia. Entrambi sono comunisti convinti e mi hanno educato allo stesso modo, anche se non ho mai avuto tanto amore per gli slogan e le parate. Poi mi hanno abbandonato, perche’ hanno trovato un lavoro in citta’, e sono andato dai nonni in campagna. Mia nonna e’ cattolica da sempre, e per questo ha anche litigato con la mia mamma tante volte. La sera veniva vicino al mio letto e pregava l’Angelo custode. Una volta le ho chiesto di spiegarmi cosa stesse facendo, e ha iniziato a parlarmi di Gesu’ e dell’amore di Dio”.

La preparazione della nonna pero’ non basta: “Ho iniziato a frequentare una chiesa vicino al distretto, dove c’e’ un sacerdote molto anziano e una volta a settimana viene uno piu’ giovane che per scherzo chiamiamo ‘il prete viaggiatore’. Lui mi ha aiutato tanto nel catechismo ed e’ stato il mio padrino di battesimo. Io ho chiesto i sacramenti a 13 anni, e ho continuato ad approfondire la fede e il Vangelo grazie a lui. E’ stato lui a consigliarmi di attendere per chiedere la borsa di studio, che potevo avere gia’ in maggio, in modo da poter venire qui quando c’era anche il Papa. E mi aiuta ogni giorno, ricordandomi quando ci sentiamo che non siamo soli e che la nostra non e’ la situazione peggiore del mondo”.

In questo, conclude, “la Giornata asiatica della Gioventu’ mi sta dando tanto. Ho incontrato un giovane pakistano che mi ha raccontato come vivono i cattolici nel suo Paese, e per un poco mi sono sentito davvero fortunato di essere cinese: noi rischiamo la galera, ma a loro sparano addosso! Aver incontrato tanti ragazzi come me e aver visto che i miei problemi sono in parte anche i loro mi ha fatto bene. E quando il Papa ieri ci ha detto che e’ il Signore a decidere la strada per noi, mi sono sentito invaso da una strana tranquillita’: io non sono solo, e Francesco me lo ha ricordato con l’amore di un padre. Non lo scordero’ mai”. di Vincenzo Faccioli Pintozzi per AsiaNews

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