Orsola nacque a Mercatello sul Metauro, il 27 dicembre 1660, da Francesco Giuliani, una delle persone più ragguardevoli del posto, intelligente e ambizioso, che sarà un giorno sopraintendente del Ducato di Parma; e da Benedetta Mancini, sposa profondamente pia, custode gelosa dell’anima delle sue sette figlie (due delle quali morirono in tenera età). A loro inculcava l’orrore per tutto ciò che è mondano, e le allevava nel santo timor di Dio.
Orsola, l’ultima nata, fu battezzata il giorno dopo. Né pianti, né grida, ma beatamente tranquilla. Il suo carattere vivace riempi di gioia e di vita tutta la casa. Giocava, rideva, piangeva, si arrabbiava… Dirà di se stessa nel Diario: «Ero la più piccola, ma volevo stare sopra tutti, e tutte volevo che facessero a mio modo. E, in effetti, mi contentavano in tutto… tutti mi chiamavano fuoco».
Amava giocare alla costruzione degli altarini, spendendovi ore e ore. Il soprannaturale si fece vedere presto nella sua vita. In certi giorni rifiutava il latte materno: si noterà che erano i mercoledì e venerdì e sabato, tradizionalmente consacrati alla penitenza.
A cinque mesi, il giorno della Santissima Trinità, scivola dalle braccia di sua madre, corre verso un quadro della Santissima Trinità appeso al muro, e si inginocchia davanti estasiata.
A poco più di un anno di età sgriderà un mercante di olio disonesto: «Fate giustizia! Dio ci vede!». Un giorno, mentre giocava coi fiori nel suo giardino, gli appare il Bambino Gesù: «Sono Io il fiore dei campi».
Quante volte porterà da mangiare al Bambino Gesù in un quadro dove appare in braccio alla Madonna: «Vieni, prendi. Se non mangi, neppure io mangio». E poi, rivolgendosi alla Madonna: «Oh, Maria, datemeLo, ve lo scongiuro; datemeLo, senza di Lui non posso vivere. Lo nutrirò come se fossi Voi». Qualche volta divenne vivo tra le sue braccia. Una volta Egli le disse: «Io sarò davvero il tuo Sposo», e rivolgendosi alla Sua Madre Divina: «La Nostra Orsola! Voi ne sarete una mamma e la guida!».
A pochi anni di età, vedeva tante volte il Bambino Gesù nell’Ostia consacrata, sentiva un bel profumo uscire dalla bocca delle sorelle dopo la Comunione: «Oh come profumate!».
Aveva cinque anni, quando morì la sua mamma. Mentre si portava il Viatico, la bambina gridò: «La voglio, la voglio!». «È per tua mamma», le disse serio il sacerdote. La fanciulla insistette: «Una particella sola e avrò Lui tutto intero come mia madre». Tutti ascoltarono la piccola teologa, muti dallo stupore.
Prima di morire, mamma Benedetta abbracciò ad una ad una le figliole, raccomandando loro di coltivare l’Amore Divino, e assegnò a ciascuna di loro una delle piaghe del Salvatore. Riservò ad Orsola la piaga del Sacro Costato. Disegno provvidenziale: Orsola abiterà davvero nel Cuore di Gesù.
Ma l’Ostia la riceverà solamente all’età di dieci anni, il 2 febbraio 1670, un po’ dopo che la famiglia si era trasferita a Piacenza. La notte antecedente non poté dormire. Risuonava in lei una dolce voce: «Sono Io! Sono con te!». Un fuoco la bruciava dopo la Comunione. Giunta a casa, domandò ingenuamente alle sorelle: «Per quanto tempo si brucia?».
Ma l’aspetto più rilevante, fin da allora, è il suo amore alla sofferenza. In casa si leggevano la vita e le gesta dei Santi. Si leggevano e si imitavano. Il rumore del disciplinarsi delle sorelle giungeva alla sua orecchia. Dio la chiamava così alla penitenza. Nella sua anima andava precisandosi la dottrina dell’espiazione: «Io soffrirò; io espierò». Si fabbrica una disciplina. La mamma un giorno la sorprende in atto di flagellarsi. Non parla, si ritira piangendo di consolazione.
La sua cara santa Rosa da Lima si era fatta schiacciare un dito. Si farà schiacciare le dita anch’essa mentre una sorella, non sapendolo, chiudeva con violenza la porta. Il sangue sprizza… Orsola non si dà cura. Accorre il chirurgo in tutta fretta, taglia la carne. «Perché mi curate? Bisogna soffrire!», dirà la bambina. Perire nel fuoco come tante vergini martiri! Immerge la mano in un braciere ardente. La mano è salvata “in extremis” solo all’arrivo di una sorella.
«Bisogna soffrire», ripeteva. Dopo averla chiamata all’immolazione tramite la famiglia, Gesù gli appare crocifisso, coperto di piaghe sanguinanti: «Tu sei la Mia sposa, la Mia associata nell’espiazione: la Croce ti attende».
Inizia ad abituarsi ai sacrifici; sacrifici di curiosità: non guardare vanità…; di sensualità: Gesù gli chiederà di regalare un sacchetto di confetti ai poveri. Ne gusterà uno solo; ma più tardi espierà il peccato di gola…; di vanità: gli si comprano nuove scarpette. Un povero chiede la carità in nome di Dio. La fanciulla si ricorda delle parole di Gesù… regala le sue scarpette… Un giorno saprà che il mendicante era Gesù in persona.
È ormai giovinetta. È bella. Il mondo la lusinga, la attrae. Il babbo la guastava per eccesso di amore: «Mi voleva sempre presso di sé». Voleva vestirla bene, alla moda, prenderla alle feste; i giovani la corteggiavano con fini e belle parole, «ma lei buttava i mazzi di fiori dalla finestra»… una lotta tra il mondo e Dio. Il suo cuore è per Dio, ma le voci divine diventavano più tenui man mano che “il mondo” progrediva.
Entrò nell’adolescenza, ignorante dei misteri della vita, perciò senza malizia… Ha ferito Gesù? Quanto detesterà sotto l’abito religioso i capricci della sua infanzia e la dissipazione della sua adolescenza! Verserà lacrime di sangue e ricorderà senza fine ciò che ella chiama “i suoi peccati”.
È una lotta ben descritta nel Diario, che quasi ogni vocazione sperimenta, a livelli differenti, e che sarà edificante meditare e approfondire per rendersi conto di quanto il demonio, il mondo e la carne combattono contro la realizzazione di una vera vocazione. Si sentiva sempre più portata all’orazione. E più si dava a questo esercizio, più sentiva il vuoto di tutte le soddisfazioni terrene.
Tre delle sue sorelle si fanno suore. «Sarò religiosa», rispondeva a tutti… E alla fine, trionferà contro il babbo che l’ostacolava apertamente e la voleva sempre con sé: «Io vi amo. Ma devo amare Dio più di voi. Vado a Lui, e lasciandovi, vi porto a Lui».
Il padre affidò allo zio, mentre abitava nella sua casa, la missione di distruggere in Veronica la vocazione. Ma si ammalerà fino al punto che il medico affermerà che l’unica guarigione è di contentare il suo cuore.
Sceglierà il monastero più povero e austero, quello delle cappuccine che professano la regola primitiva di santa Chiara, stabilite da poco a Città di Castello. Le visita. La sua persona e le sue parole toccano le monache, ma il numero delle suore fissato dall’autorità ecclesiastica era già completo. Le si consiglia di visitare il vescovo, che la trova troppo gìovane; aveva infatti solo sedici anni. Inoltre, non si può superare il numero.
Desolata scende le scale.
Ma poi ritorna risolutamente indietro. A di nuovo ai piedi del vescovo. Gli bacia lo scapolare e lo supplica con lacrime di accettarla.
Ammirando la sua fede e la sua decisione, procede subito all’esame consueto. Le dà un grosso breviario: «Leggete». Legge senza errori, senza esitazioni. La meraviglia si dipinge sul volto dello zio, poiché sapeva che la nipote non conosceva il latino! Seguono alcune domande che danno luogo a risposte umili e precise. Ogni ostacolo è vinto. L’entrata è fissata per il 28 ottobre del 1677.
Ultimo attacco del demonio: agitazioni, turbamenti…, ma ella sfidava ogni tempesta.
Il babbo non parteciperà alla cerimonia…
Arriva il giorno. A vestita da “sposa di Cristo”. Presiede il vescovo, Il rito si svolse in tutta la sua impressionante maestà. Sotto le forbici cadono i capelli. Il vescovo le dà il nome di Veronica e profetizza la sua futura santità. Si apre la porta di clausura. Ultimo attacco del mondo, tramite giovani corteggiatori. Sentiamola raccontare ciò:
« – Signora Sposa, avete ancora tempo; se volete dire di no, potete -.
«E replicarono ciò più volte. Mi servì di gran tentazione, ma con animo generoso mi rivoltai e dissi: `V’ho ben pensato; e mi dispiace che non ho fatto ciò molti anni sono’.
«Cominciai a cavarmi tutte le gioie e addobbamenti che avevo. Quelle dame e signore che erano con me non volevano. lo dissi: `Non voglio pigliare la croce con queste frascherie addosso. Mi levino pure tutto’.
«Così feci. Mentre mi spogliavo di ciò, cercavo di stare con la mia mente in Dio, e facevo offerta di me stessa al Signore. Non volli vedere più nessuno di quanti erano in Chiesa. Mai più aprii gli occhi, finché non misi il piede nella clausura».
Là vivrà i suoi successivi eroici cinquanta anni.
Beata lei, beata Città di Castello, beato monastero delle Cappuccine che vedrà il cielo aperto sopra di esso con una abbondanza mai vista, fino al punto che il vescovo dirà: «Se i cittadini sapessero quello che stà accadendo dentro queste mura, le bacerebbero da fuori».
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