«Mi chiamarono in tarda mattinata. Correvo, avevo paura di non arrivare in tempo. Invece lui mi ha aspettata. “Buongiorno Santità, oggi c’è il sole” gli dissi subito, perché era la notizia che in ospedale lo rallegrava». Così Rita Megliorin, ex caposala del reparto di rianimazione al Policlinico Gemelli ricorda la mattina del 2 aprile quando fu chiamata nell’appartamento pontificio, al capezzale di Giovanni Paolo II, il Papa morente. «Non pensavo mi riconoscesse.
Lui mi ha guardato. Non con quello sguardo indagatore che usava per capire subito come andava la sua salute. Era uno sguardo dolce, che mi ha sfiorato», aggiunge la donna. «Ho sentito il bisogno di appoggiare la testa sulla sua mano, mi sono permessa il lusso di prendermi la sua ultima carezza adagiando la sua mano priva di forza sul mio viso mentre lui aveva preso a fissare il quadro del Cristo sofferente che era appeso al muro di fronte al suo letto». Intanto, sentendo arrivare dalla piazza i canti, le preghiere, le acclamazioni dei giovani che si facevano sempre più forti, la donna chiese al cardinale Dziwisz, se quelle voci non importunassero per caso il Papa. «Ma lui, portandomi alla finestra, mi disse: “Rita, quelli sono i figli venuti a salutare il padre”».
L’ultimo giorno della sua vita , Giovanni Paolo II si congedò dai suoi più stretti collaboratori della Curia romana. Presso il suo capezzale continuava la preghiera, a cui partecipava, nonostante la febbre alta e un’estrema debolezza. Nel pomeriggio, a un certo momento disse: «Lasciatemi andare alla casa del Padre».
Verso le ore 17 furono recitati i primi Vespri della seconda domenica di Pasqua, cioè della domenica della Divina Misericordia. Le letture parlavano della tomba vuota e della Risurrezione di Cristo, ritornava la parola: «Alleluia».
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Al termine fu recitato l’inno Magnificat e la Salve Regina. Il Santo Padre più volte abbracciò con lo sguardo i presenti del suo più stretto ambiente e i medici che vegliavano accanto a lui.
Dalla piazza San Pietro, dove si erano radunate migliaia di fedeli, specialmente di giovani, giungevano le grida: «Giovanni Paolo II» e «Viva il Papa!». Udiva quelle parole.
Sulla parete di fronte al letto del Santo Padre era appesa in un quadro l’immagine di Cristo sofferente, legato con le corde: l’Ecce Homo, che con lo sguardo egli fissava continuamente durante la sua malattia. Gli occhi del Papa che si stavano spegnendo si posavano anche sull’immagine della Madonna di Czestochowa. Su un tavolino, la foto dei suoi genitori.
Sapendo che per lui si stava approssimando il tempo di passare all’eternità, d’accordo con i medici aveva deciso di non recarsi all’ospedale ma di rimanere in Vaticano (…). Voleva soffrire e morire a casa sua, rimanendo presso la tomba dell’apostolo Pietro.
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