Ieri mattina l’ultimo saluto nella chiesa di Santa Maria del Buon Consiglio
Il testo completo dell’omelia del vescovo Luca Raimondi ai funerali di ai funerali di Graziano Gianola. La cerimonia si è svolta nella chiesa di Santa Maria del Buon Consiglio, parrocchia di cui il prete scomparso era vicario nel quartiere Bovisa, a Milano.
Il 48enne sacerdote ambrosiano è morto nel pomeriggio di lunedì 12 luglio all’ospedale Santa Chiara di Trento, a seguito delle gravi ferite riportate in una caduta in montagna, mentre si trovava in vacanza a Brentonico con una sessantina di ragazzi del suo oratorio e una suora.
Vorrei fermarmi sulla soglia. Non voglio varcare la soglia del ricordo di don Graziano che conservano, come tesoro geloso, le persone che lo hanno amato. Questo ricordo innanzitutto appartiene alla sua mamma, ai suoi fratelli e sorelle, ai nipoti, all’amata comunità di Premana.
Appartiene alle comunità che ha servito, da prete, a Sesto San Giovanni, a Buccinasco e infine, fino alla tragedia della sua morte, a questa amata comunità pastorale di Gesù Buon Pastore.
Voglio solo ricordare un piccolo aneddoto che dice molto di don Graziano e che ho vissuto in prima persona: qualche mese fa mi telefonò e sapendo della mia amicizia con il suo parroco don Renato, volle invitarmi a fare una sorpresa per i festeggiamenti del 40° di Messa del suo parroco. E’ solo una piccola tenerezza che dice però l’animo di don Graziano: dentro la fraternità del presbiterato era capace di essere custode dell’amicizia. E potrebbero dire molto i suoi compagni di Messa e tutti coloro che hanno gustato la sua amicizia sorridente e contagiosa.
Voglio però far parlare, innanzitutto, l’unica Parola degna di essere pronunciata in contesti come questo: la Parola del Signore, una Parola che, nelle esequie di un prete, ripercorre, per tutti i credenti, l’unica nostra speranza che consiste nella Pasqua di Gesù. E’ in questa Pasqua che Graziano ha scoperto il segreto della sua gioia qui sulla terra e questa gioia ora la sperimenta nella certezza della contemplazione del Volto del suo Signore.
– Ci ha detto Gesù, nel primo brano che abbiamo ascoltato: “Chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,26-27).
Graziano ha preso sul serio queste parole di Gesù. Voleva un amore grande per il quale vivere e, se necessario, anche morire. Ha trovato nel servizio al Signore l’incandescenza di un amore che si rinnova continuamente. Ha desiderato essere servo, come Gesù, della gioia degli altri. Ed è per questo che è diventato “don” Graziano. E’ diventato prete perché l’origine della sua gioia che solo Gesù poteva dargli, andava condivisa con altri. Ha scelto di diventare prete per mettersi a servizio di una gioia che non teme nulla, di una gioia che non rincorre facili scorciatoie ma che è capace di sostenere anche le vicende drammatiche della vita; una gioia che non teme nemmeno la morte perché è la gioia di Gesù Risorto. E tutti noi sappiamo che don Graziano questa missione, di rendere fedele questa gioia per altri, l’ha vissuta fino in fondo. Era contento di essere prete.
E che bello se qualche ragazzo e giovane di questa comunità prendesse il suo posto nel servire il Signore e la Chiesa, così!
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– Ci ha detto ancora il secondo brano di Vangelo che quando Gesù muore: “Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono” (Mt 27, 51-52).
Nel momento della morte di Gesù si fa buio su tutta la terra e Gesù squarcia il buio con un grido.
La morte improvvisa e tragica di don Graziano ci fa sentire l’eco di questa grido di disperazione. Non possiamo tacere questa realtà. Eppure questo grido, per noi discepoli di Gesù, non può essere solo disperato. Quel grido di Gesù ha squarciato il velo del tempio e ha donato agli uomini il vero volto di Dio in quell’Uomo appeso in croce. Quel grido genera subito la risurrezione di molti.
Così, penso, anche don Graziano vorrebbe che la sua morte, pur nella tristezza, ci aiutasse a confidare in un amore che squarcia le notti buie della nostra esistenza.
Il Signore Gesù sulla croce ha mantenuto fede alle parole dette nell’ultima cena: “Nessuno ha un amore più grande di questo:
dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15, 13). Don Graziano ha scelto di vivere così: ha considerato tutti amici per i quali donare la sua vita. E ora, ne sono certo, prega per ciascuno di noi perché impariamo a fidarci di un amore che squarcia ogni timore e ogni angoscia e ci chiama a uscire dai sepolcri delle nostre tristezze.
– E infine, nell’ultimo brano di Vangelo, nella sera più bella della sua vicenda umana, Gesù appare risorto ai suoi e dice, per ben due volte: “Pace a voi” (Gv 20, 19.21). “E i discepoli gioirono al vedere il Signore” (Gv 20,20).
Noi siamo qui a pregare perché il Signore accolga nella sua pace don Graziano. E stato ricordato in questi giorni che quando don Graziano recitava la preghiera di suffragio per qualcuno, invece di dire “L’eterno riposo dona a lui o Signore”, pronunciava “L’eterna gioia dona a lui o Signore”. Non so se un montanaro scalpitante come lui saprà stare “in pace” in paradiso … certamente sarà nella gioia, la stessa gioia provata dai discepoli al vedere il Signore la sera di Pasqua; finalmente vedrà Gesù faccia a faccia.
Quindi mentre preghiamo perché la gioia di don Graziano sia piena nella pace del Risorto, preghiamo per i suoi cari, per i suoi amici, per questa comunità. Preghiamo per tutti noi.
E vorrei farlo con le parole di un’altra “scalpitante” cristiana, Madeleine Delbrel:
“Rivelaci (Signore) la grande orchestra dei tuoi disegni: in essa, quel che tu permetti dà suoni strani nella serenità di quel che tu vuoi. Insegnaci a indossare ogni giorno la nostra condizione umana come un vestito da ballo, che ci farà amare di te tutti i particolari. Come indispensabili gioielli.
Facci vivere la nostra vita, non come un giuoco di scacchi dove tutto è calcolato, non come una partita dove tutto è difficile, non come un teorema che ci rompa il capo, ma come una festa senza fine dove il tuo incontro si rinnovella, come un ballo, come una danza, fra le braccia della tua grazia, nella musica che riempie l’universo d’amore. Signore, vieni ad invitarci”.
(Fonte avvenire.it)
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