La visita di Papa Francesco a Firenze in occasione del convegno ecclesiale nazione sul “Nuovo umanesimo” ha segnato sicuramente una tappa decisiva per la Chiesa italiana. L’intenso discorso del pontefice letto tutto d’un fiato ha suscitato numerose reazioni e stimoli di riflessione. Parole cariche di denuncia, stimolo e profezia per invitare la Chiesa italiana a vivere pienamente lo spirito del concilio vaticano II.
Con spirito profetico già da don Lorenzo Milani, priore di Barbiana, piccola frazione della provincia fiorentina, aveva anticipato i temi dell’assise conciliare. Ed è riecheggiato il suo ricordo e la sua forza nel perseguire il sogno di una Chiesa inquieta che a don Milani è costato anche molto. Due aspetti in particolare dell’intervento di Papa Francesco richiamano l’apostolato sociale di don Milani.
Don Lorenzo proveniva da una famiglia borghese, ma in seguito alla scelta di mettersi alla sequela del Signore nel sacerdozio si fece povero per i poveri. Non per pauperismo ma per avvicinarsi sempre più alla persone e dare voce ai senza voce. I poveri nella sua missione erano i figli dei contadini ai quali non era favorito il consueto percorso d’ istruzione rimanendo ignoranti e quindi subalterni. Secondo il priore non c’è dignità fino a quando non è data a tutti la possibilità di una valida formazione culturale che abilita ad un lavoro onesto e dignitoso. L’inclusione sociale per i poveri è allora vissuta in vista del bene comune: “L’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura”. (Papa Francesco, Discorso ai rappresentanti del V convegno ecclesiale a Firenze 10/11/15). Don Milani era un uomo vicino al cuore di Dio e allo stesso tempo vicino al cuore dei suoi parrocchiani (I care), non solo per la crescita spirituale ma anche in vista di quella umana. I suoi ragazzi in una lettera scrivevano: “Il priore ci propone un ideale più alto: cercare il sapere solo per usarlo al servizio del prossimo, per es. dedicarci da grandi all’insegnamento, alla politica, al sindacato, all’apostolato o simili. Per questo qui si rammentano spesso e ci si schiera sempre dalla parte dei più deboli: africani, asiatici, meridionali, italiani, operai, contadini, montanari. Vorremmo che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare tra loro”. (Lettere di don Lorenzo Milani, San Paolo, 2007). La lotta contro l’emarginazione culturale e quindi sociale nacque in lui da una fede radicale: “Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista- implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra”. (Papa Francesco, Evangelii gaudium, 183).
Qui si inserisce la proposta audace del priore e che papa Francesco alla luce del concilio vaticano II ripropone a tutta la Chiesa: “Il nostro dovere è lavorare per rendere questo mondo un posto migliore e lottare. La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito Santo. […] non esiste umanesimo autentico che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale.” (Papa Francesco, Discorso ai rappresentanti del V convegno ecclesiale di Firenze). L’apostolato di don Milani dunque non fu da educatore mancato o da eretico, ma da prete-profeta che alla luce della fede in Dio vive insieme ai fratelli più deboli un processo di liberazione da ogni forma di schiavitù che deforma l’umanità delle persone a lui affidate. Una simile prassi ecclesiale rende più credibili e meno conniventi con la politica senza per questo rifugiarsi nelle caduche strutture ecclesiali, che non hanno molto da dire all’uomo di oggi.
“Bisogna che il fine della scuola sia onesto. Grande. Che non presupponga nel ragazzo null’altro che d’essere uomo. Cioè che vada bene per credenti e atei. […] Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. E in questo secolo come vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola? Siamo sovrani. Non è più tempo delle elemosine ma delle scelte”. (Lettera ad una professoressa, LEF). Anche se non ha citato il Priore, sembra di sentire il papa argentino quando nella cattedrale fiorentina ha detto: “Giovani, superate l’apatia. Vi chiedo di essere costruttori dell’Italia, di mettervi al lavoro per una Italia migliore. Per favore, non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico. Le mani della vostra fede si alzino verso il cielo, ma lo facciano mentre edificano una città costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento. E così sarete liberi di accettare le sfide dell’oggi, di vivere i cambiamenti e le trasformazioni”.
di Roberto Oliva