L’umanità spiega il mistero della chiamata

Il vero discepolo non sceglie di seguire, ma è scelto. Non sceglie cosa dire, ma annuncia la parola di chi lo manda. Questo si evince dalla vicenda del profeta Geremia: “ Prima di formarti nel grembo materno ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce ti ho consacrato” (Ger 1,5). Dio ci conosce meglio di come noi conosciamo noi stessi: Lui che da sempre ha pensato ad una missione per noi, che da sempre ci ama in un modo unico e particolare. La vocazione allora non è part-time, non è rivestire un ruolo per gli anni che il Signore ci darà di vivere su questa Terra, ma è il sigillo eterno che Dio ha impresso nella nostra vita. Se la vocazione non diventa vita allora diventa mestiere. La vocazione è quella per la quale siamo nati e attraverso la quale andremo in paradiso. Di fronte a simile

osservazione nasce un umano timore: “Signore io non so parlare perché sono giovane”. La nostra umanità ci aiuta a comprendere meglio il senso della nostra vocazione: dal momento che non è un nostro progetto  la sua realizzazione non dipende dal nostro sforzo. Non potremmo vivere pienamente la nostra vocazione se pensiamo che sia qualcosa  di fattibile, di organizzabile, di pianificabile. La vocazione ci supera e ci sorprende sempre. “Quando sono debole è allora che sono forte”. Immaginiamo la reazione di Dio se Geremia avesse risposto: “Hai fatto bene Signore a chiamare me, ora vedrai quello che andrò a fare perché io sono capace”?. Ci fa bene ripetere la risposta umile di Geremia che scorga da un cuore pienamente riconciliato con la sua umanità: il nostro entusiasmo e le nostre capacità non devono mai offuscare l’onnipotenza di Dio, altrimenti diventiamo eroi, ma non discepoli. “Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca e mi disse: «Ecco io metto le mie parole sulla tua bocca»”.

È Dio l’artefice e il sostenitore della nostra vocazione, è Lui che crede in noi prima ancora di noi stessi. La vocazione non è frutto del nostro convincimento ma di una scommessa di Dio. È bello fare esperienza di un Dio che poggia la mano sulla nostra bocca: un Dio compagno, amico e confidente. Non ci lascia soli in preda alle nostre strategie o ai nostri programmi futuri, non ci lascia nel caos e nemmeno ci fa mancare la creatività e la gioia per cogliere in ogni momento della storia il momento favorevole per renderLo vivo. Il discepolo non ha altra ragione d’esistere se non quella di testimoniare il Maestro: con la gioia, con le parole, con i gesti, con le scelte e soprattutto con l’amore. Se la vocazione è l’esperienza dell’amore ricevuto allora la missione è l’amore regalato a che non ce l’ha. di Roberto Oliva

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