Gesù era un ottimo comunicatore non perché usasse parole “che volevano persuadere a tutti i costi”, ma perché trasmetteva la sapienza di Dio, l’unica in grado di arrivare in fondo ai cuori. Nel suo incontro della mattina, mons. Angelo De Donatis ha proposto al Papa e ai suoi collaboratori una riflessione sul linguaggio e le sue trappole. L’uomo di oggi, ha constatato, è ancora alla ricerca del linguaggio giusto, quello di Cristo, che non è il linguaggio della forza e del potere ma quello della debolezza, che tutti intendono, specie chi soffre. Un linguaggio di carità con cui Gesù comunica all’uomo la grandezza di Dio e che consente all’uomo che lo fa proprio di rendere testimonianza a Cristo stesso.
E l’amore, inteso come misericordia, è stato anche la chiave di lettura della meditazione sviluppata da mons. De Donatis ieri pomeriggio, ispirata dal brano del Vangelo di Marco in cui la donna ammalata di emorragie guarisce al solo tocco del mantello di Gesù, gesto nel quale aveva riposto tutte le sue speranze. Condannata dalla sua religione come impura – ha affermato il predicatore degli esercizi – la donna sconfigge il suo male perché crede fermamente in Gesù. Anche oggi questo accade quando, ha detto mons. De Donatis, la religione non permette di salvarsi all’uomo che sta morendo per un peccato. Chi salva, ha ribadito, è Cristo, è la sua misericordia e avere fede significa proprio avere un contatto con Lui vivo. Si costruiscono impalcature enormi per arrivare a Cristo, ma non si riesce a incontrarlo, ha proseguito mons. De Donatis, forse perché si seguono troppo le cose del mondo e si pensa poco al senso del Battesimo, cioè al momento in cui la Chiesa ci ha accolti mentre eravamo morti e ci ha restituiti vivi grazie al sangue di Gesù. Noi, ha concluso il predicatore degli esercizi, non facciamo nulla per salvarci, fa tutto Dio. Per questo dobbiamo ringraziarlo e ricordarci di camminare non davanti a Cristo ma con Lui.
Il servizio è di Alessandro De Carolis per la Radio Vaticana (anche in file audio):
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