La storia più bella dal nubifragio di Verona: salvato da tre persone
Cercavo di tener fuori le braccia per salvare dal freddo almeno quelle. E poi non c’era maniera di nuotare…
(Fonte corriere.it)
VERONA – Corriere.it riporta la storia di Daniele Iattarelli, 37 anni, l’uomo diventato famoso attraverso la foto simbolo den nubifragio di domenica sera.
Racconta «..Cercavo di tener fuori le braccia per salvare dal freddo almeno quelle. E poi non c’era maniera di nuotare, stavo dentro una specie di pasta siberiana».
Il giorno dopo neanche uno starnuto, non una linea di febbre, Daniele ha fatto il militare a Cuneo, negli alpini si presume. Lo ha tirato fuori il signor Franco Bazzoli: «L’ho visto lì sotto e mi sono fatto vedere, l’ho tirato su che era un ghiacciolo, non parlava nemmeno».
Il suo racconto dall’inizio
«Ero nel mio laboratorio e improvvisamente la porta d’ingresso ha ceduto di schianto sotto il peso del ghiaccio. In un attimo mi sono trovato immerso, travolto, e non sarei nemmeno potuto uscire se dall’altra parte della strada un’altra saracinesca non avesse ceduto all’urto.
In quel momento la marea bianca ha cambiato direzione e per qualche istante è defluita nel negozio di fronte, così io sono stato come trasportato fuori. Di colpo mi sono trovato nel vicolo».
Come?
«Immerso fino alle ascelle in un metro e 60 centimetri. Cercavo di spostarmi a saltelli ma anche così non andavo lontano, ho inciampato su qualcosa di alto, allora mi sono attaccato alle tubature — quelle vede, ci sono ancora le mie impronte — e così, aggrappato, tirandomi su ho fatto ancora qualche metro. Fino al signor Bazzoli che dalla ringhiera mi ha dato una mano e mi ha tirato su».
E poi?
«Poi sono arrivati altri due buoni samaritani, una coppia, marito e moglie che abitano qui vicino in via Portichetti, sono quelli che mi hanno portato a casa loro e mi hanno servito un tè caldo, fornito di vestiti asciutti e ciabatte. Non ho ancora potuto ringraziarli perché non li ho visti».
Non è andato in ospedale Iattarelli, ieri era solo un po’ stordito da tanta attenzione, occupato più a portar fuori protesi non finite, stampi di mandibole e mascelle, macchinari andati in malora e scaffali di roba marcia che ad interrogarsi sulla propria performance.
E il suo laboratorio?
«Mi sono andati in fumo dieci anni di lavoro e centomila euro di roba. I clienti dovranno aspettare per una nuova protesi».