La Corte federale malese, confermando una precedente sentenza, ha negato al giornale cattolico Herald la possibilità di utilizzare la parola “Allah” per indicare Dio. La controversia va avanti dal 2007 ed è diventata emblematica nell’ambito dell’impegno per la libertà religiosa in Malaysia. Soddisfati i gruppi integralisti musulmani mentre c’è delusione nella comunità cristiana che ora teme anche per distribuzione dei testi sacri, come testimonia un recente sequestro di oltre 300 Bibbie. Marco Guerra ha intervistato, per la Radio Vaticana, il direttore di Asia News, padre Bernardo Cervellera:
R. – Questa cosa era abbastanza prevista perché ci sono stati in passato tantissimi tentennamenti sia della Corte, sia della polizia, sia del governo, su questo uso della parola “Allah” per il giornale cattolico. Il problema è che adesso hanno cominciato anche a bloccare Bibbie e bloccare libri religiosi che contengono la parola “Allah” perché secondo le autorità malaysiane non si può usare la parola “Allah” nei libri cristiani. Invece, la parola “Allah” era usata dai cristiani malaysiani molto prima che arrivasse l’islam sia in Medio Oriente che in Malaysia.
D. – C’è ancora spazio per un’azione legale o questa è l’ultima parola?
R. – Temo di no. I cristiani e i cattolici, ormai, sono impossibilitati e anzi vista la situazione di tensione che c’è nel mondo islamico dopo la pubblicazione delle vignette su Maometto e anche questa tensione verso il terrorismo, naturalmente, questa sentenza alimenta il timore del governo di andare contro la comunità musulmana per non creare ancora più ire e ancora più violenze. E anche da parte della comunità cristiana ci tocca accettare questa sentenza sebbene sia di una profonda ingiustizia e di una profonda ignoranza dal punto di vista storico, però per la pace nella penisola malaysiana bisogna continuare così.
D. – Ci sono state reazioni da parte della comunità cristiana e da parte della Chiesa cattolica?
R. – Il direttore del giornale che adesso non potrà più usare la parola “Allah”, padre Lawrence Andrew, ha detto: “Siamo molto dispiaciuti e molto contrariati da questa cosa ma dobbiamo rispettare quanto dice questa sentenza. Speriamo che almeno ci rimanga la libertà di professare la nostra fede e che non ci siano violenze verso le minoranze”. Bisogna tener conto che negli anni scorsi proprio a causa di sentenze che sembravano facilitare l’uso della parola “Allah” ci sono stati attacchi a chiese, a cristiani. Quindi ci sono tentazioni di violenze molto forti.
D. – Adesso cosa rischiano i cristiani e cosa comporta questa sentenza? La libertà religiosa è sempre più a rischio?
R. – La libertà religiosa dal punto di vista delle pubblicazioni. Cioè, il problema è che il governo e le autorità malaysiane islamiche non vogliono che i cristiani usino la parola “Allah” soprattutto nei libri in lingua malysiana perché dice che questo confonde i musulmani. Penso che abbiano paura di un possibile proselitismo da parte dei cristiani. Questo fatto di non poter usare la parola “Allah” creerà dei ghetti: cioè, i cristiani devono stare da una parte e i musulmani devono stare dall’altra, senza potere dialogare anche dal punto di vista culturale, storico e teologico.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana