In Malaysia, la libertà religiosa è negata. La comunità cristiana vive momenti di grande tensione. Le persecuzioni aumentano. Le difficoltà sono aumentate a causa dell’uso della parola “Allah”. A noi in occidente sembra assurdo. Nella terra malaysiana invece è fonte di dibattito aspro e critico che si ripercuote nella vita dei fede. “Sono terribilmente addolorato e dispiaciuto per i fatti occorsi negli ultimi tempi, caratterizzati dall’uso di parole offensive e dal rogo di alcune immagini che ritraggono p. Lawrence Andrew”. Si tratta di gesti che “equivalgono a un attacco complessivo contro l’intera comunità cristiana”. È quanto afferma l’arcivescovo emerito di Kuala Lumpur mons. Murphy Pakiam, in una lettera pastorale inviata a tutte le parrocchie della diocesi e letta in ogni chiesa, al termine della celebrazione domenicale. Il prelato ripercorre gli attacchi di queste ultime settimane contro il direttore di Herald Malaysia, oggetto anche di minacce di morte, nel contesto della controversia sull’uso della parola “Allah” per identificare il Dio cristiano che si trascina da anni nelle aule di tribunale e nel Paese. Negli ultimi tempi scontri e divisioni si sono acuite; il sequestro (illegale) di centinaia di copie della Bibbia a Selangor e la dura risposta del sacerdote hanno inasprito ancor più il contrasto, in una battaglia per la libertà religiosa sempre più a rischio nella nazione asiatica a maggioranza islamica. P. Lawrence ha inoltre aggiunto che le chiese della regione continueranno a usare il nome “Allah” per definire il Dio cristiano nelle funzioni domenicali, poiché il bando all’uso vale solo per il settimanale cattolico. Il sacerdote è finito sotto inchiesta con l’accusa di “sedizione” e l’ufficio del procuratore generale sta valutando in questi giorni se intende procedere nei suoi confronti, rinviandolo a giudizio.
La Malaysia, conta oltre 28 milioni di abitanti in larga maggioranza musulmani (60%), i cristiani sono la terza confessione religiosa (dietro ai buddisti) con un numero di fedeli superiore ai 2,6 milioni; la pubblicazione di un dizionario latino-malese vecchio di 400 anni dimostra come, sin dall’inizio, il termine “Allah” era usato per definire Dio nella Bibbia in lingua locale. Il 7 gennaio scorso il direttore di Herald Malaysia è stato interrogato per due ore dalla polizia di Selangor; al centro del colloquio, le dichiarazioni rilasciate dal sacerdote secondo cui organismi e istituti islamici non hanno diritti né giurisdizione verso enti e associazioni cristiane. Da questo deriva il fatto che il raid compiuto contro la sede della Bible Society of Malaysia (Bms) di Selangor e il sequestro delle Bibbie, è un atto “profondamente sbagliato” e “illecito”.
Cresce il sostegno delle Chiese (cattoliche e protestanti) di tutto il mondo verso i leader cristiani in Malaysia, oggetto di attacchi e di una crescente pressione con l’approssimarsi del processo sull’uso della parola “Allah” per i non musulmani nel Paese. L’ultimo in ordine di tempo a fornire la propria vicinanza è il Consiglio metodista mondiale (Wmc), che esprime “shock e costernazione” in merito alla sentenza dei giudici di appello nell’ottobre scorso di vietarne l’uso al settimanale cattolico Herald Malaysia. In una lettera indirizzata alla Federazione cristiana della Malaysia il vescovo Ivan Abrahams, segretario generale Wmc, giudica il verdetto un “preoccupante” tentativo di affidare a una sola religione il possesso di una terminologia universale. Il Consiglio metodista mondiale rappresenta oltre 80 milioni di fedeli, sparsi in 130 Paesi di tutto il mondo. Secondo il vescovo Abrahams il verdetto potrebbe fomentare “divisioni non richieste fra cristiani e musulmani” in Malaysia; egli invita l’esecutivo di Kuala Lumpur a non “politicizzare” un aspetto che riguarda solo la sfera religiosa e privata. I figli di Abramo, spiega, condividono la fede nello stesso Dio, per questo “rivendicare il possesso esclusivo” di un nome “è un atto fortemente divisivo”. Le preghiere di milioni di fedeli della Wmc si uniscono alla solidarietà manifestata la scorsa settimana dalla Chiesa evangelica luterana in America (Elca), secondo cui tutta la controversia scatenata in Malaysia “non riguarda solo la fede, ma comprende pure la storia e la lingua”. I vertici di Elca condannano inoltre il raid del mese scorso, durante il quale le autorità malaysiane hanno sequestrato 300 copie della Bibbia. Anche le Nazioni Unite, attraverso Rappresentante speciale per la libertà di credo e di culto, intervengono nella vicenda e lanciano un appello a Kuala Lumpur perché ribalti la sentenza della Corte che vieta al settimanale cattolico l’uso della parola. a cura di Giovanni Profeta
La fonte dell’articolo è tratta dal sito: asianews