R. – La maratona di Betlemme sicuramente è un’esperienza molto particolare, in quanto rappresenta la voglia di resistenza di questo popolo, per quanto riguarda l’occupazione militare israeliana.
D. – A Betlemme non è possibile percorrere 42 km senza sconfinare in territorio israeliano. Come si è potuto superare questo limite?
R. – Questo limite è stato superato prevedendo un giro di 21 km che verrà ripetuto due volte. In seguito alla guerra del ’67 i confini sono stati ridisegnati e soprattutto è molto presente il problema del muro, che appunto affligge la popolazione di Betlemme nella vita quotidiana.
D. – Quali sono gli obiettivi che contate di raggiungere con la maratona?
R. – L’obiettivo principale è quello di dare un segno di partecipazione, in quanto la questione palestinese non è purtroppo ben conosciuta all’estero. Quindi, l’obiettivo è quello di attirare l’attenzione su quello che accade qui. Correranno persone di diverso credo, di diversa etnia, di diverse credenze, ma l’obiettivo principale è quello di dare una partecipazione per un Palestina libera.
D. – Varie realtà sono toccate dal percorso, dal muro che divide il territorio palestinese da quello israeliano ai vari campi profughi…
R. – Rappresentano in primis l’effettiva occupazione che Israele con la propria pressione infligge alla popolazione. Tramite foto e video si potrà vedere quello che realmente è il muro. Effettivamente, per una persona che proviene dall’Occidente non è nemmeno concepibile una tale mostruosità, o come si può chiamare, dal punto di vista dell’impatto che ti dà emotivamente, ma soprattutto per il modo in cui poi toglie la libertà di movimento di queste persone. Il campo profughi di Haida è campo profughi dal ’48 e ha numerosi problemi: la disoccupazione, il sovrappopolamento… L’occasione che offre, quindi, questa maratona è anche quella di vedere con i propri occhi quella che effettivamente è la realtà di tutti i giorni.
D. – La maglietta con la scritta “Non esiste distanza così grande da cancellare il ricordo di un sorriso”, che lei indossa durante la corsa, cosa rappresenta?
R. – L’obiettivo è quello di rappresentare tutti i bambini palestinesi che sono morti per una guerra che, comunque, a loro non appartiene o gli appartiene solo per quanto riguarda il loro futuro. La vita di bambini innocenti non dovrebbe mai essere sprecata per questioni politiche o militari.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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