Marcello ha imbrogliato Luigino. Una ferita che vale più di centomila euro

“Non mi perdonerò mai di aver tradito chi credeva in me. E alla luce della tragedia accaduta al signor Luigino, so che non potrò mai trovare pace, né perdonarmi”. Lo afferma Marcello Benedetti, ex impiegato della banca Etruria di Civitavecchia, il funzionario che ha venduto obbligazioni per centomila euro a Luigino D’Angelo, il pensionato che si è tolto la vita per averli persi. Luigino firmò delle carte in cui era presente la dicitura “alto rischio” ma quasi nessuno ci faceva caso perché era una pratica di sessanta fogli.

Se alle notizie dai un volto e un nome allora vedi una storia, delle persone. Luigino ha perso tutto e, legalmente, lo ha voluto lui perché ha firmato lui. Ma chi legge mai sessanta pagine di contratto se hai davanti un professionista di cui ti fidi e che non ti dice nulla? Marcello di firme ne ha messa solo una ma la coscienza gli rimorde per aver messo da parte la fiducia di Luigino: per lui era solo un cliente, cioè un gradino verso il budget con relativo premio.

Brutta storia, vite distrutte e un’altra ferita mortale alla fiducia che dovrebbe esserci tra di noi e tra noi e le istituzioni. Parlamento, consigli di amministrazione e tribunali, sono pronti ad aprirsi e a dirimere le vertenze, a dare sentenze e a sancire violazioni. Ma intanto Luigino è a terra morto e Marcello è vivo ma ha la coscienza morta.

Marcello dice: avevamo l’ordine.

È da Norimberga che sentiamo risuonare questo ritornello: avevamo l’ordine. Ma le nostre coscienze sporche, a volte di cose piccole altre volte di cose grandi, con quelle parole non si sentono a posto. Ormai dovremmo averlo imparato.

Se non vogliamo fermarci ai luoghi comuni, dobbiamo guardare qualcosa che proprio i gulag e le polizie segrete ci hanno insegnato: che la distanza tra dove si prendono le decisioni e dove le medesime si realizzano deve essere la minore possibile, anzi possibilmente non deve esistere. È ben diverso che un aguzzino sappia che chi sta torturando è un qualsiasi pover’uomo; è ben diverso che il funzionario che decide di avere informazioni ad ogni costo, non veda il sangue che quella richiesta causa.

Strana cosa la coscienza, per funzionare ha bisogno di sentire il peso delle proprie azioni. Di sapere che cosa fanno, che volto hanno, che nome hanno le nostre azioni quotidiane. La coscienza è libera solo sotto il peso della responsabilità.

I banchieri che dicevano a Marcello di spremere Luigino non erano le stesse persone che facevano il gioco di prestigio di scrivere in piccolo piccolo che c’erano grandi rischi in quegli investimenti.

I sorrisi, le strette di mano, erano diversi.

La coscienza, per non fare cilecca, ha bisogno di vedere le conseguenze delle proprie decisioni.

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da IlSussidiario.net


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