Categorie: Caritas et Veritas

Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa

Riportiamo il testo integrale della Terza ed ultima Predica dell’Avvento 2015, tenuta questa mattina in Vaticano da padre Raniero Cantalamessa, O.F.M. Cap., predicatore della Casa Pontificia. – 1. La mariologia della Lumen gentium:

L’oggetto di quest’ultima meditazione di Avvento è il capitolo VIII della Lumen gentium intitolato “La Beata Vergine Maria, nel mistero di Cristo e della Chiesa”. Riascoltiamo ciò che il Concilio dice a questo riguardo:

“La beata Vergine, predestinata fino dall’eternità, all’interno del disegno d’incarna­zione del Verbo, per essere la Madre di Dio, per disposizione della divina Provvidenza fu su questa terra l’alma madre del di­vino Redentore, generosamente associata alla sua opera a un ti­tolo assolutamente unico, e umile ancella del Signore. Conce­pendo Cristo, generandolo, nutrendolo, presentandolo al Padre nel tempio, soffrendo col Figlio suo morente in croce, ella co­operò in modo tutto speciale all’opera del Salvatore, con l’ob­bedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo ella è diventata per noi madre nell’ordine della grazia”[1].

Accanto al titolo di Madre di Dio e dei credenti, l’altra cate­goria fondamentale che il Concilio usa per illustrare il ruolo di Maria, è quella di modello, o di figura:

“La beata Vergine, per il dono e l’ufficio della divina maternità che la uni­sce col Figlio Redentore e per le sue singolari grazie e funzioni, è pure intimamente congiunta con la Chiesa: la Madre di Dio è figura della Chiesa, come già insegnava sant’Ambrogio, nell’or­dine cioè della fede, della carità e della perfetta unione con Cri­sto”[2].

La novità più grande della trattazione conciliare sulla Madonna consiste, come si sa, proprio nel posto in cui essa è inserita, e cioè nella costituzione sulla Chiesa. Con ciò il Concilio – non senza sofferenze e lacerazioni – attuava un profondo rinnovamento della mariologia, rispetto a quella degli ultimi secoli [3]. Il discorso su Maria non e più a se stante, come se ella occupasse una posizione intermedia tra Cri­sto e la Chiesa, ma ricondotto, come era stato all’epoca dei Pa­dri, nell’ambito di quest’ultima. Maria è vista, come diceva sant’A­gostino, come il membro più eccellente della Chiesa, ma un membro di essa, non al di fuori, o al di sopra di essa:

“Santa è Maria, beata è Maria, ma più importante è la Chiesa che non la Vergine Maria. Perché? Perché Maria è una parte della Chiesa, un membro santo, eccellente, superiore a tutti gli altri, ma tutta­via un membro di tutto il corpo. Se è un membro di tutto il corpo senza dubbio più importante d’un membro è il corpo”[4].

Le due realtà si illuminano a vicenda. Se infatti il discorso sulla Chiesa fa luce su chi è Maria, il discorso su Maria fa luce su cos’è la Chiesa e cioè “corpo di Cristo” e, come tale, “quasi un prolungamento dell’incarnazione del Verbo”. Lo sottolinea san Giovanni Paolo II nella sua enciclica Redemptoris Mater:  “Presentando Maria nel mistero di Cristo, il Concilio Vaticano II trova anche la via per approfondire la conoscenza del mistero della Chiesa”[5].

Un’altra novità della mariologia del Concilio è l’insistenza sulla fede di Maria[6], un tema, anche questo, ripreso e sviluppato da Giovanni Paolo II che ne fa il tema centrale della sua enciclica mariana “Redemptoris Mater” [7]. È un ritorno alla mariologia dei Padri che, più che sui privilegi della Vergine, faceva leva sulla sua fede, come apporto personale di Maria al mistero della salvezza. Anche qui si nota l’influsso di Sant’Agostino:

“La Vergine Maria partorì credendo, quel che aveva concepito credendo… Dopo che l’angelo ebbe parla­to, ella, piena di fede (fide

plena), concependo Cristo prima nel cuore che nel grembo, rispose: Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola”[8].

23. Maria Madre dei credenti in prospettiva ecumenica

Quello che vorrei fare è di mettere in luce la portata ecumenica di questa mariologia del Concilio, cioè come essa possa contribuire – e anzi sta già contribuendo –  a riavvicinare cattolici e protestanti su questo terreno delicato e controverso che è la devozione alla Vergine.

Chiarisco anzitutto il principio che è alla base delle riflessioni che seguono. Se Maria si colloca fondamen­talmente dalla parte della Chiesa, ne consegue che le categorie e le affermazioni bibliche da cui partire per fare luce su di lei so­no piuttosto quelle relative alle persone umane che costituisco­no la Chiesa, applicate a lei “a fortiori”, anziché quelle relative alle persone divine, applicate a lei “per riduzione”.

Per comprendere, per esempio, nel modo giusto, il delicato concetto della mediazione di Maria nell’opera della salvezza, è più utile partire dalla mediazione creaturale, o dal basso, come è quella di Abramo, degli apostoli, dei sacramenti e della Chiesa stessa, che non dalla mediazione divino-umana di Cristo. La distanza più grande, infatti, non è quella che esiste tra Maria e il resto del­la Chiesa, ma è quella che esiste tra Maria e la Chiesa da una parte, e Cristo e la Trinità dall’altra, cioè tra le creature e il Creato­re.

Ora traiamo da tutto ciò la conclusione. Se Abramo, per quello che ha fatto, ha meritato nella Bibbia il nome di “padre di tutti noi”, cioè di tutti i credenti (cf Rm 4, 16; Lc 16,24)), si comprende meglio come la Chiesa non esiti a chiamare Maria “Madre di tutti noi”,  madre di tutti i credenti.

Dal confronto tra Abramo e Maria possiamo ricavare una luce ancora maggiore, che riguarda non solo il semplice titolo, ma anche il suo contenuto o significato. Madre dei credenti è un semplice titolo di onore, o qualcosa di più? Qui si intravvede la possibilità di un discorso ecumenico su Maria. Calvino interpreta il testo dove Dio dice ad Abramo: “In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gn 12, 3), nel senso che “Abramo sarà non soltanto esempio e patrono, ma causa di benedizione”[9]. Un noto esegeta protestante moderno scrive, nello stesso senso:

“ Ci si è chiesti se le parole di Genesi 12, 3 [“In te saranno benedette tutte le stirpi della terra”] intendono affermare soltanto che Abramo diventerà una specie di formula per benedire, e che la benedizione da lui go­duta passerà in proverbio […]. Si deve ritornare all’interpretazione tradizionale che in­tende quella parola di Dio “come un ordine dato alla storia” (B. Jacob). Ad Abramo viene riservato, nel piano salvifico di Dio, il ruolo di mediatore della benedizione per tutte le generazioni della terra”[10].

Tutto questo ci aiuta a capire ciò che la tradi­zione, a partire da sant’Ireneo, dice di Maria: che, cioè, ella non è solo un esempio di benedizione e di salvezza, ma, in un modo dipendente unicamente dalla grazia e dalla volontà di Dio, anche causa  di sal­vezza. “Come Eva, scrive sant’Ireneo, disobbedendo, divenne causa di morte per sé e per tutto il genere umano, così Maria…, obbedendo, diven­ne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano”[11]. Le parole di Maria: “Tutte le generazioni mi chiame­ranno beata” (Lc 1, 48) sono da ritenere, anch’esse, “un ordine dato da Dio alla storia”.

È un fatto incoraggiante scoprire che gli stessi iniziatori della Riforma hanno riconosciuto a Maria il titolo e la prerogativa di Madre, anche nel senso di Madre nostra e madre della salvezza. In una predica per la Messa di Natale, Lutero diceva: “Questa è la consolazione e la traboccante bontà di Dio: che l’uomo, in quanto crede, possa gloriarsi di un bene così prezioso, che Maria sia la sua vera madre, Cristo suo fratello, Dio suo Padre… Se credi così, tu siedi allora veramente in grembo alla vergine Maria e sei il suo caro fanciullo” [12]. Zwingli, in un sermone del 1524, chiama Maria “la pura vergi­ne Maria, madre della nostra salvezza” e dice di non avere mai, a suo riguardo, “pensato e tantomeno insegnato o affermato in pubblico alcunché di empio, disonorante, indegno o cattivo”[13].

Come mai dunque siamo giunti alla situazione attuale di tanto disagio da parte dei fratelli protestanti nei confronti di Maria, al punto che in alcuni ambienti ci si fa quasi un dovere di sminuire Maria, attaccare continuamente su questo punto i cattolici e, in ogni caso, sorvolare tutto ciò che la Scrittura stes­sa dice di lei?

Non è questo il luogo per fare una revisione storica; voglio so­lo dire quale mi sembra essere la via per uscire da questa triste situazione circa Maria. Tale via passa per un sincero riconosci­mento da parte di noi cattolici del fatto che spesso, specialmen­te negli ultimi secoli, abbiamo contribuito a rendere Maria inaccettabile ai fratelli protestanti, onorandola in modo talvolta esagerato e sconsiderato e soprat­tutto non collocando tale devozione dentro un quadro biblico ben chiaro che ne facesse vedere il ruolo subordinato rispetto alla Parola di Dio, allo Spirito Santo e a Gesù stesso. La mario­logia negli ultimi secoli era divenuta una fabbrica continua di nuovi titoli, nuove devozioni, spesso in polemica con i prote­stanti, usando talvolta Maria – la comune Madre! – come un’arma contro di essi.

A questa tendenza il Concilio Vaticano II ha opportunamente reagito. Esso ha raccomandato che i fedeli “sia nelle parole che nei fatti evitino diligentemente ogni cosa che possa indurre in errore i fratelli separati o qualunque altra per­sona, circa la vera dottrina della Chiesa”, e ha ricordato agli stes­si fedeli che “la vera devozione non consiste né in uno sterile e passeggero sentimentalismo, né in una certa qual vana creduli­tà”[14].

Da parte protestante, c’è, credo, da prendere atto dell’influs­so negativo che ha avuto, nel loro atteggiamento verso Maria, non solo la polemica anticattolica, ma anche il razionalismo. Maria non è una idea, ma e una persona concreta, una donna, e come tale non si presta ad essere facilmente teorizzata o ridotta a principio astratto. Essa è l’icona stessa della semplicità di Dio. Per questo non poteva, in un clima dominato da un esasperato razionalismo, non essere eliminata dall’orizzonte teologico.

Una donna luterana, scomparsa alcuni anni fa, Madre Basilea Schlink, ha fondato una comunità di religiose in seno alla Chiesa luterana, chiamate “Le Sorelle di Maria”, ora diffusa in vari paesi del mondo. In un suo libretto, di cui ho curato io stesso l’edizione italiana, dopo aver ricordato diversi testi di Lutero sulla Madonna, scrive:

“A leggere le parole di Lutero, che fino alla fine della sua vita ha onorato Maria, ne ha santificato le feste e cantato ogni giorno il Magnificat, si sente quanto ci si sia allon­tanati, in genere, dal retto atteggiamento verso di lei… Vediamo quanto noi evangelici ci siamo lasciati sommergere dal razionalismo… Il ra­zionalismo, che ammette soltanto ciò che si può comprendere con la ragione, diffondendosi, ha spazzato via dalle Chiese evangeliche le feste di Maria e tutto ciò che le si riferisce, ed ha fatto perdere il senso di ogni riferimento biblico a Maria: e di questa eredità soffriamo ancora oggi. Se Lutero, con questa fra­se: ‘Dopo Cristo ella è in tutta la cristianità il prezioso gioiello, mai abbastanza lodato’, ci inculca questa lode, io, per parte mia, devo confessare di essere tra coloro che per lunghi anni della propria vita, non l’hanno fatto, eludendo così anche quanto di­ce la Scrittura: ‘D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata’ (Lc 1, 48). Io non mi ero messa tra queste generazioni”[15] .

Tutte queste premesse ci consentono di coltivare nel cuore la speranza che, in un giorno non lontano, cattolici e protestanti possiamo essere non più divisi, ma uniti da Maria, in una comune venerazione, diversa forse nelle forme, ma concorde nel riconoscere in lei la Madre di Dio e la Madre dei credenti. Io ho avuto la gioia di costatare di persona alcuni segni di questo mutamento in atto. In più d’una occasione, ho potuto parlare di Maria a un uditorio protestante, notando tra i presenti non solo accoglienza, ma, almeno in un caso, una vera commozione, come per il ritrovamento di qualcosa di caro e una guarigione della memoria.

4.  Maria, madre e figlia della misericordia di Dio

Lasciamo ora da parte il discorso ecumenico e cerchiamo  di vedere se anche l’anno della misericordia non ci aiuta a scoprire qualcosa di nuovo della Madre di  Dio. Maria viene invocata nell’antichissima preghiera della Salve Regina, come “Mater misericordiae”, Madre della misericordia; nella stessa preghiera, a lei è rivolta l’invocazione: “illos tuos misericordes oculos ad nos converte”; Rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi”. Nella  messa di apertura dell’anno giubilare in Piazza San Pietro dell’8 Dicembre scorso, a lato dell’altare era esposta un’antica icona della Madre di Dio, venerata in un santuario dei greco-cattolici di Jaroslav, in Polonia, conosciuta come la “Porta della misericordia”.

Maria è madre e porta di misericordia in un duplice senso. È stata la porta  attraverso cui la misericordia di Dio, con Gesú, è entrata nel mondo, ed è ora la porta attraverso cui noi entriamo nella misericordia di Dio, ci presentiamo al “trono della misericordia” che è la Trinità. Tutto questo è vero, ma è solo un aspetto del rapporto tra Maria e la misericordia di  Dio. Ella infatti non è solo canale e mediatrice della misericordia di  Dio; ne è anche l’oggetto e la prima destinataria. Non è soltanto colei che ci ottiene misericordia, ma anche colei che ha ottenuto, per prima e più di tutti, misericordia.

Misericordia è sinonimo di grazia. Solo nella Trinità l’amore è natura e non è grazia; è amore, ma non misericordia. Che il Padre ami il Figlio, non è grazia o concessione; è, in certo senso, necessità; il Padre ha bisogno di amare per esistere come Padre. Che il Figlio ami il Padre, non è concessione o grazia; è necessità intrinseca, anche se liberissima; egli ha bisogno di essere amato e di amare per essere Figlio. È quando  Dio crea il mondo e in esso delle creature libere che il suo amore diventa dono gratuito e immeritato, cioè grazia e misericordia. Questo prima ancora del peccato. Il peccato farà soltanto che la misericordia di  Dio, da dono, diventi perdono.

Il titolo “piena di grazia” è dunque sinonimo di “piena di misericordia”. Maria stessa, del resto, lo proclama nel Magnificat: “Ha guardato, dice, l’umiltà della sua serva”, “si è ricordato della sua misericordia”; “la sua misericordia si estende di generazione in generazione”. Maria si sente beneficiaria della misericordia, la testimone privilegiata di essa. In lei la misericordia di  Dio non si è attuata come perdono dei peccati, ma come preservazione dal peccato.  

Dio ha fatto con lei, diceva santa Teresa di Gesú Bambino, quello che farebbe un bravo medico in tempo di epidemia. Egli va di casa in casa a curare coloro che hanno contratto il contagio; ma se ha una persona che gli sta particolarmente a cuore, come la sposa o la madre, farà in modo, se lo può, di non farle neppure prendere il contagio. E così ha fatto Dio, preservando Maria dal peccato originale per i meriti della passione del Figlio.

Parlando dell’umanità di Gesù, sant’Ago­stino dice: “In base a che cosa, l’umanità di Gesù ha meritato di essere assunta dal Verbo eterno del Padre nell’unità della sua persona? Quale sua opera buona precedette ciò? Che cosa ave­va fatto prima di questo momento, che cosa aveva creduto, o chiesto, per essere innalzata a tale ineffabile dignità?”. E aggiungeva altrove: “Cerca il merito, cerca la giustizia, rifletti, e vedi se trovi altro che grazia”[16].

Queste parole gettano una luce singolare anche sulla persona di Maria. Di lei si deve dire, a più forte ragione: che cosa aveva fatto Maria, per meritare il privilegio di dare al Verbo la sua umanità? Che cosa aveva creduto, chiesto, sperato o sofferto, per venire al mondo santa e immacolata? Cerca, anche qui, il merito, cerca la giustizia, cerca tutto ciò che vuoi, e vedi se trovi in lei, all’inizio, altro che grazia, cioè misericordia!

Anche san Paolo non cesserà, per tutta la vita, di considerarsi come un frutto e un trofeo della misericordia di  Dio. Si definisce “uno che ha ottenuto misericordia dal Signore” (1 Cor 7, 25). Non si limita a formulare la dottrina della misericordia, ma ne diventa il testimone vivente: “Io ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia” (1 Tim 1, 12).

Maria e l’Apostolo ci insegnano che il miglior modo di predicare la misericordia è dare testimonianza della misericordia che Dio ha avuto con noi. Sentirci  anche noi frutti della misericordia di Dio in Cristo Gesù, vivi soltanto per essa. (Sentirlo, non necessariamente dirlo). Un giorno Gesú guarì un poveretto posseduto da uno spirito immondo. Questi voleva seguirlo e unirsi al gruppo dei discepoli; Gesú non glielo permise, ma gli disse: “Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te”  (Mc 5,19 s.).

“Misericordias Domini in aeternum cantabo”, diciamo con il salmo (Sal 88, 2): Canterò in eterno la misericordia del Signore. Maria, che nel Magnificat glorifica e ringrazia  Dio per la sua misericordia, ci invita a fare lo stesso in questo anno della misericordia. Ci invita a far risuonare ogni giorno nella Chiesa la sua voce, come il coro che ripete un canto dietro la solista. Mi permetto perciò di invitarvi a proclamare insieme, in piedi, come preghiera finale al posto dell’antifona mariana, il cantico alla misericordia di  Dio che è il Magnificat. “L’anima mia magnifica il Signore….”

Santo Padre, Venerabili Padri, fratelli e sorelle: Buon Natale e Buon Anno della misericordia!

Redazione Papaboys (Fonte www.zenit.org)

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