Allora, potrebbe chiedere qualcuno, di quale amore parla il Papa? Quale sarebbe questo amore «più forte», quando a migliaia ogni anno i matrimoni si sbriciolano sotto l’urto degli affanni quotidiani? Non è molto più realistico discutere, come accade in questi giorni in Parlamento, di abbreviare piuttosto il tempo necessario per ottenere il divorzio? Un anno e via, chiuso, si ricomincia da capo. Non è forse, l’«alleggerimento» del matrimonio previsto da questa riforma della legge civile, ben più vicino alla realtà delle cose? Non è nella natura degli uomini e delle donne innamorarsi, unirsi e poi anche stancarsi, e lasciarsi?
Ma l’amore di cui parla il Papa non è l’attrazione romantica o istintiva che oggi chiamiamo “amore”, non è la melassosa illusione da giorno di San Valentino, che rapidamente come è nata svanisce. Dio, ha ricordato Francesco, davvero fa di un uomo e una donna una sola carne, «e il disegno di Dio si attua nella fragilità della condizione umana: il legame infatti è sempre con il Signore». Non più un rapporto a due, dunque, ma un Altro, garante, nelle fedeltà al quale si trova la forza e la pazienza per andare avanti. Se infatti ascolti la storia di vecchie coppie rimaste insieme per tutta la vita, spesso avverti il tacito riferimento a quel Terzo, operante: nel cui nome, ogni volta, si perdona.
E perché allora, potrebbe obiettare ancora qualcuno, vediamo anche tante matrimoni cristiani andare in frantumi? Perché in Occidente abbiamo vissuto una lunga stagione di spiritualità opaca, di abitudine, di scelte fatte perché così fanno tutti; e in molti di noi si è smarrita la memoria e la consapevolezza di quel Terzo, garante. Ne è rimasta uno sbiadito ricordo, da tirar fuori a Natale a magari alla Cresima dei figli, insieme al vestito elegante; astratto però, e avulso dalla vita quotidiana, travolta da concretissimi dolori, guai e rancori. Ma, ha detto ancora il Papa, «nella fragilità della natura umana, l’importante è mantenere vivo un rapporto con Dio».
Credere, insomma, davvero, e cercare e pregare quel Dio che con gli occhi non vediamo, e di cui molti ci dicono: è solo un fantasma. Pregare e parlare con Dio, insistentemente, e pregare per il marito, per la moglie, anche se magari l’amarezza e l’incomprensione opprimono. Provare, almeno, se non lo si è mai fatto. Si scoprirà, nel tempo, che è vero ciò che diceva ieri Francesco: c’è un amore più forte del momento in cui si litiga, si delude, si tradisce. Lentamente negli anni emerge la realtà che, davvero, in due si è una cosa sola; un legame profondo e misterioso, che inesorabilmente tiene insieme.
A fronte della bellezza, della splendida pretesa del matrimonio cristiano, le ipotesi della legge civile che vorrebbe affrettare i tempi del divorzio appare un povero rimedio alla incapacità di uomini e donne di volersi bene, se contano solo sulle loro forze. Il divorzio breve come un cerotto applicato frettolosamente, a una ferita che invece non guarisce. Non è di tanto invece più corrispondente al desiderio del cuore dell’uomo, al desiderio che sentiamo in noi a vent’anni, questa promessa di bene per sempre, dentro la fedeltà a un Dio continuamente evocato, convocato, presente? Sì, da cristiani, ci tocca essere testimoni di fronte a chi non crede nella forza di questa realtà frutto di una fedeltà non sempre facile, a volte ritrovata, semplicemente viva. Sì, ci tocca e più ci toccherà. Se solo sapremo ritrovare la memoria originaria di ciò che siamo, di ciò che veramente cerchiamo – e che mai, in realtà, possiamo darci da soli. di Marina Corradi
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