Il predicatore della Casa Pontificia, Cantalamessa, ha tenuto nell’Aula Paolo VI la seconda meditazione d’Avvento, alla presenza di Papa Francesco.
(Fonte Vatican News – Amedeo Lomanaco)
MEDITAZIONI D’AVVENTO – Dopo aver esortato a riflettere nella prima predica di Avvento sul significato della morte, il cardinale Cantalamessa, ha invitato e meditare su un’altra “verità” che la situazione della pandemia ha riportato a galla: “la precarietà e la transitorietà di tutte le cose”.
Tutto passa: “ricchezza, salute, bellezza, forza fisica”. Ma la crisi planetaria che stiamo vivendo, ha spiegato il porporato, può essere “l’occasione per riscoprire con sollievo che c’è, nonostante tutto, un punto fermo, un terreno solido, anzi una roccia, su cui fondare la nostra esistenza terrena”.
Ciò che “non passa mai” è, per definizione, l’eternità. Dobbiamo riscoprire la fede in un aldilà della vita. È questo uno dei grandi contributi che le religioni possono dare insieme allo sforzo per creare un mondo migliore e più fraterno. Essa ci fa capire che siamo tutti compagni di viaggio, in cammino verso una patria comune, dove non esistono distinzioni di razza o di nazione. Non abbiamo in comune solo il cammino, ma anche la meta.
Per i cristiani la fede nella vita eterna si basa su un fatto preciso: la risurrezione di Cristo. “Per noi cristiani – ha detto il predicatore della Casa Pontificia, creato cardinale nel Concistoro dello scorso 28 novembre – la vita eterna non è una categoria astratta, è piuttosto una persona. Significa andare a stare con Gesú, a “fare corpo” con lui, a condividere il suo stato di Risorto nella pienezza e nel gaudio ineffabile della vita trinitaria”. Sulla parola “eternità” sono caduti l’oblio e il silenzio. Il secolarismo ha portato ad una “riduzione del reale alla sola dimensione terrena”, ad una “radicale eliminazione dell’orizzonte dell’eternità”. Caduto questo orizzonte, ha sottolineato il porporato, la sofferenza umana “appare doppiamente e irrimediabilmente assurda”. Il mondo somiglia a “un formicaio che si sgretola” e l’uomo a “un disegno creato dall’onda sulla riva del mare che l’onda successiva cancella”.
La fede nella vita eterna costituisce una delle condizioni di possibilità dell’evangelizzazione. “Se Cristo non è risorto –scrive l’Apostolo- vuota è la nostra predicazione, vuota anche la nostra fede […] Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini” (1Cor 15, 14.19). L’annuncio della vita eterna costituisce la forza e il mordente della predicazione cristiana.
L’eternità, ha detto il cardinale Cantalamessa, è “il desiderio più profondo del cuore umano”. “Noi siamo infatti “esseri finiti capaci di infinito” (ens finitum, capax infiniti): esseri mortali con un innato anelito all’immortalità”. Una rinnovata fede nell’eternità “non ci serve solo per l’evangelizzazione”. Ci serve, prima ancora, “per imprimere un nuovo slancio al nostro cammino di santificazione”. Il suo primo frutto è “quello renderci liberi, di non attaccarci alle cose che passano”:
Immaginiamo questa situazione. Una persona ha ricevuto lo sfratto e deve lasciare tra breve la sua abitazione. Fortunatamente, gli si presenta la possibilità di avere subito una nuova casa. Ma lui che fa? Spende tutto il suo denaro per rimodernare e abbellire la casa che deve lasciare, anziché arredare quella in cui deve andare! Non sarebbe da stolto? Ora noi siamo tutti degli “sfrattati” in questo mondo e somigliamo a quell’uomo stolto se pensiamo solo ad abbellire la nostra casa terrena, senza preoccuparci di fare opere buone che ci seguiranno dopo la morte nella nuova casa. L’affievolirsi dell’idea di eternità agisce sui credenti, diminuendo in essi la capacità di affrontare con coraggio la sofferenza e le prove della vita. Dobbiamo ritrovare un po’ della fede di san Bernardo e di sant’Ignazio di Loyola. In ogni situazione e davanti a ogni ostacolo, essi dicevano a se stessi: “Quid hoc ad aeternitatem?”, che è questo di fronte all’eternità?
Per il credente, ha concluso il porporato che terrà l’ultima predica di Avvento il prossimo 18 dicembre, “l’eternità non è solo una promessa e una speranza, o, come pensava Carlo Marx, un riversare in cielo le attese deluse della terra”. Essa è anche “una presenza e una esperienza”. In Cristo “la vita eterna che era presso il Padre si è fatta visibile”. “Con Cristo, Verbo incarnato, l’eternità ha fatto irruzione nel tempo. Ne facciamo l’esperienza ogni volta che facciamo un vero atto di fede in Cristo, perché chi crede in lui possiede già la vita eterna”.
Ne facciamo l’esperienza ogni volta che facciamo un vero atto di fede in Cristo, perché chi crede in lui possiede già la vita eterna (cfr. 1Gv 5,13); ogni volta che riceviamo la comunione, perché in essa “ci viene dato il pegno della gloria futura”; ogni volta che ascoltiamo le parole del Vangelo, che sono “parole di vita eterna” (cfr. Gv 6,68). San Tommaso d’Aquino dice che “la grazia è l’inizio della gloria”.
Molti, ha detto il cardinale Cantalamessa, si chiedono: In che consisterà la vita eterna? È vivere” immersi, ha affermato, “nell’oceano senza rive e senza fondo dell’amore trinitario. Ma non ci annoieremo? Domandiamo a dei veri innamorati – ha concluso – se si annoiano al culmine del loro amore e se non vorrebbero piuttosto che quell’istante durasse in eterno. “Tutto tranne l’eterno – ha detto il predicatore della Casa Pontificia ricordando le parole del poeta Fozazzaro – al mondo è vano”. “Tutto tranne Gesù – ha affermato infine il cardinale Cantalamessa – al mondo è vano”.
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