Le catechesi si svolgono in aula Paolo VI anche alla presenza di Papa Francesco
(Fonte Vatican News – Amedeo Lo Monaco)
VATICANO – Sono iniziate ieri mattina le prediche per il ciclo di meditazioni per il periodo d’Avvento. il tema della catechesi è stato “Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore”.
Le predicazioni, del cardinale Raniero Cantalamessa, si ripeteranno anche l’11 e 18 Dicembre 2020.
Il porporato ha aperto la propria riflessione, nell’aula Paolo VI, citando i versi del poeta italiano Giuseppe Ungaretti che descrive lo stato d’animo dei militari in trincea durante la prima guerra mondiale con la poesia “Soldati” fatta di poche parole: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”.
Ieri, ha detto il cardinal Cantalamessa riferendosi a questo periodo scosso dalla pandemia, è l’umanità intera “che sperimenta questo senso di caducità della vita”. Il predicatore della Casa Pontificia ha esortato a riflettere sulla morte, sul suo orizzonte ineluttabile nell’esistenza di ogni uomo. E ha ricordato che la vita del credente “non finisce con la morte perché ci attende la vita eterna”.
“La morte – diceva Sant’Agostino – è la malattia mortale che si contrae nascendo”. “Sorella morte – ha affermato il cardinal Cantalamessa – è davvero una buona sorella maggiore e una buona pedagoga. Ci insegna tante cose”.
La morte, a cui segue immediatamente il giudizio di Dio, è anche un punto di osservazione:
La morte è la fine di tutte le differenze e le ingiustizie che esistono tra gli uomini. La morte, diceva il nostro attore comico Totò, è una “livella”, azzera tutti i privilegi. Quante guerre, quante crudeltà in meno si commetterebbero sulla terra se i violenti e gli oppressori dei popoli pensassero che anche loro presto dovranno morire! Guardare la vita dal punto di osservazione della morte, dà un aiuto straordinario a vivere bene. Sei angustiato da problemi e difficoltà? Pòrtati avanti, còllocati al punto giusto: guarda queste cose dal letto di morte. Come vorresti allora avere agito? Quale importanza daresti a queste cose? Hai un contrasto con qualcuno? Guarda la cosa dal letto di morte. Cosa vorresti aver fatto allora: aver vinto, o esserti umiliato? Aver prevalso, o aver perdonato? Il pensiero della morte ci impedisce di attaccarci alle cose, di fissare quaggiù la dimora del cuore, dimenticando che “non abbiamo quaggiù dimora stabile.
C’è una sola morte, ha affermato il porporato, che l’uomo deve temere perché il suo veleno uccide veramente l’uomo:
La morte eterna! “Morte seconda”, la chiama l’Apocalisse (Ap 20, 6). Essa è l’unica che merita davvero il nome di morte, perché non è un passaggio, una Pasqua, ma un terribile capolinea. È per salvare gli uomini da questa sciagura che dobbiamo tornare a predicare ai cristiani sulla morte. Nessuno più di Francesco d’Assisi ha conosciuto il volto nuovo, pasquale, della morte cristiana. La sua morte fu davvero un passaggio pasquale, un “transitus”, come viene celebrato nella liturgia francescana. Quando si sentì vicino alla fine, il Poverello esclamò: “Ben venga, mia sorella morte!”[1] Eppure nel suo Cantico delle creature, accanto a parole dolcissime sulla morte, egli ne ha alcune tra le più terribili.
“Laudato sii, mio Signore, per sora nostra morte corporale,
dalla quale nessun uomo vivente può scappare:
guai a quelli che morranno nei peccati mortali;
beati quelli che troverà nelle tue santissime volontà,
ché la morte seconda non farà loro alcun male”.
“Guai a quelli che morranno nei peccati mortali! Se uno vive in peccato mortale, per lui la morte ha ancora il pungiglione e il veleno”. “Togliere il peccato significa togliere alla morte il suo pungiglione”. E c’è un modo privilegiato, ha ricordato il predicatore della Casa Pontificia, per prepararsi alla morte:
Istituendo l’Eucaristia, Gesù anticipò la propria morte. Noi possiamo fare lo stesso. Anzi Gesù ha inventato questo mezzo per farci partecipi della sua morte, per unirci a sé. Partecipare all’Eucaristia è il modo più vero, più giusto e più efficace di “apparecchiarci” alla morte. In essa celebriamo anche la nostra morte e la offriamo, giorno per giorno, al Padre. Nell’Eucaristia noi possiamo far salire al Padre il nostro “amen, sì”, a ciò che ci aspetta, al genere di morte che egli vorrà permettere per noi. In essa noi “facciamo testamento”: decidiamo a chi lasciare la vita, per chi morire.
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