Le testimonianze di giovani ex-drogati della Comunità Cenacolo a Medjugorje hanno colpito il pubblico del festival. Ecco che cosa hanno raccontato in succinto, facendo un esame spietato della loro vita sciupata. Ma sappiamo che essi tacciono per modestia le cose ben più grandi e profonde che ora vivono.
“A 13 anni non avevo alcuno a cui confidarmi: non voglio far colpa nemmeno ai genitori, che avevano già i loro problemi e non potevano dare ciò che non avevano ricevuto. Così cominciai a fare quello che facevano gli amici: sigarette, tornare tardi la notte: sapevo di sbagliare, ma non volevo essere di meno di loro, che avevano gli stessi problemi.
Poi sono caduto in tutto ciò che il mondo insegna, pensando che la libertà fosse lavorare per aver soldi e divertirmi. La strada cristiana era molto lontana. Ma questa libertà mi sono accorto che era schiavitù.
Avrei dovuto costruire il mio carattere in quegli anni, imparare a volere e a dire di no, per imparare a vivere, mentre diventavo sempre più schiavo e più debole. Non apprezzavo più le cose che avevo; anche se avevo tutto cercavo sempre altre cose.
La vera gioia viene solo dall’essere liberi. E così sono arrivato alla droga: prima gli spinelli, che mi davano una carica per superare paura e timidezza. Ma poi nemmeno l’haschis mi bastava. Gli amici usavano l’eroina e cominciai anch’io: così per 10 anni senza poter tornare indietro.
Persi il lavoro, la ragazza, la fiducia della gente. E siccome non c’erano più soldi, cominciai a rubare e a spacciare droga per potermi bucare: senza la droga stavo male, impazzivo. Avrei potuto entrare in una comunità, ma mi mettevo delle maschere e credevo sempre di potercela fare da solo, anche se sentivo che dentro di me stavo morendo.
La droga ti porta a morire in tutti i sensi, non sai più rinunciare a nulla per costruire qualcosa. Provai a chiedere aiuto a Dio che mi salvò in due o tre situazioni disperate, anche se non vedevo mai la chiesa, anzi prendevo ingiro i ragazzi che andavano all’oratorio…
E venne il momento in cui mio padre mi buttò fuori di casa. Fu provvidenziale. Mi trovai solo e perso come un vagabondo, un barbone, finché la madre di un mio amico mi indicò questa comunità. Ho bruciato tanti anni della mia vita: se potessi tornare indietro!
Ma sono contento ugualmente perché, se non mi fossi drogato, non avrei mai trovato il Signore né scoperto che cosa vuol dire essere liberi, essere contenti, non per le cose esteriori, ma per quello che si ha dentro. In questi 3 anni ho maturato tante cose di cui ero carente. Io non sapevo amare perché non ho mai ricevuto amore dagli altri.
Ho imparato a non avere rancore, ad avere la forza di chiedere scusa se avevo litigato con qualcuno,andare a parlare con lui e poi star bene. Due mesi fa mi è stato affidato un ragazzo giovane: ti chiede tante cose, gli spieghi, ci vuole tanta pazienza. Così ho imparato cos’è amore, so anche controllarmi e lasciar da parte i miei egoismi.
Ora quel ragazzo è rimasto in comunità perché l’ho aiutato io, e io sono più contento di lui. Ora so come si trova la gioia:nell’amare gli altri. Stai bene dentro perché se iin grazia di Dio e non hai più bisogno della macchina, della discoteca, delle ragazze: sei felice dentro di te, scopri che amare è meraviglioso.
Questo ho maturato in comunità, pregando,ascoltando la Parola di Dio e i consigli degli amici. Il mio futuro è la famiglia, ma se non imparo a sacrificarmi, come farò con la moglie e i figli? La comunità prima ti dava un periodo di tre anni, ma ora Suor Elvira non pone più un limite.
Ogni persona ha un tempo diverso per maturare, anche quattro, cinque anni. Per ora non ho ambizione di uscire, devo imparare a vivere in comunione con gli altri, mentre fuori il mondo è pazzesco: ti succhia, ti sfrutta, ti porta allo stress, così non hai più pace né controllo; e poi ti getta via. Prima di uscire voglio essere sicuro che non mi attirino più queste cose…
Nell’amore ho trovato la vita Un altro ha raccontato: Sono stato arrestato per una serie di furti e ho preferito entrare in comunità che in carcere: sono qui da quattro anni e mezzo. Quando sono entrato, la cosa che mi ha più colpito era il vedere che tanti ragazzi, che si erano drogati come me, pregavano.
Da una parte ho pensato che erano matti, che era impossibile, data la vita che facevano prima, poter arrivare ad alzarsi alla mattina alle sei per dire il primo rosario in ginocchio… Ma intanto una cosa è certa: qui in comunità non ci sono medici né persone estranee che lavorano.
Tutto quello che ci viene trasmesso è frutto dell’esperienza di altri ragazzi, che prima di noi hanno avuto il problema della droga, e man mano in comunità hanno riscoperto il valore della vita. Ecco, sento che questa comunità mi aiuta, non solo a uscire dalla droga, ma a vivere i veri valori cristiani. Ho cominciato a sentirmi amato.
Sento che la comunità mi aiuta ogni giorno, anche se dopo quattro anni e mezzo ho ancora difficoltà a trovare la forza di mettermi in ginocchio. E’ una lotta ogni mattina alzarmi a pregare. Ma sento che questo durante la giornata dà i suoi frutti; e quindi sto imparando che per aver gioia e darla agli altri devo passare ogni giorno dalla porta della croce.
Non mi sento diverso dagli altri, ma molto fortunato di aver trovato questa comunità. Da 7 anni sono sieropositivo, e sento che è stato il Signore a chiamarmi qui. Ora sapere che posso lavorare e star bene dentro ed avere tanti amici, vale per me più che se fossi la persona più fortunata secondo il mondo.
Mi sento di ringraziare il Signore che attraverso la preghiera mi dà la forza e tanto conforto per mezzo dei ragazzi che vivono con me. Poi tutto diventa preghiera: far le pulizie, il lavoro,aiutare gli altri quando vedi che hanno bisogno della correzione; quando devi fare l’angelo custode a un ragazzo appena entrato, che ha bisogno del tuo aiuto perché è cadente, devi insegnargli tutto, stare sveglio con lui perché di notte non riesce a dormire… Ogni giorno per me è sempre nuovo e ho sempre qualcosa da imparare.
Fonte: Eco di Maria n.ro 122 settembre 1995
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