Si chiama Camillo Sonnino ed ha raccontato in queste ore la grazia che ha ricevuto a Medjugorje. Il video è stato pubblicato in diretta su Facebook dal profilo di Michele Vasilj
Non potevamo avere figli e siamo venuti a Medjugorje per chiedere alla Madonna di intercedere
Testimonianza di Camillo Sonnino a Medjugorje del 03 aprile 2019. Video ripreso da Michele Vasilj, una delle guide di Medjugorje.
Le apparizioni a Medjugorje erano cominciate da sei anni. Un giorno, il direttore del giornale mi convocò all’improvviso, mi raccontò del fratello che era stato in quello sperduto villaggio dell’Erzegovina e ne era tornato scioccato. “Vai a vedere”, mi disse. Partii subito, ma scelsi il tragitto più lungo: andai a prendere l’aereo a Bergamo, per unirmi a un gruppo di pellegrini per lo più della Brianza. Così, in viaggio, avrei cercato di capire perché quelle persone andassero a Medjugorje, e che cosa pensassero di trovare in un luogo già così discusso, sospetto, dichiarato addirittura proibito ai sacerdoti che arrivavano da fuori.
Avevo letto alcuni studi di sociologia religiosa. Un po’ tutti gli esperti sostenevano che, la grande sete di soprannaturale che si avvertiva in giro, era in rapporto diretto con le paure apocalittiche dell’umanità (c’era ancora il comunismo, c’era sempre il pericolo di una guerra nucleare) e con la crisi delle ideologie, il riflusso, l’entrata in corto circuito della società secolarizzata, consumistica. Ma poi, ascoltando quelle persone in aereo, veniva fuori una realtà molto più semplice e, insieme, molto più profonda. Agli obiettivi spirituali si intrecciavano altre motivazioni, come la richiesta di una grazia corporale, il recupero di un equilibrio interiore dopo un lutto, dopo l’abbandono da parte del marito.
Arrivati a Medjugorje, fu tutta una scoperta. Lo scenario – con la chiesa allora isolata in una conca di terra rossa – non era esattamente di quelli tradizionali; ma, forse proprio per questo, aveva un che di mistico, di sacro, come da tempo non si avvertiva più dalle nostre parti. C’erano anche dei fanatici, e quelli che si suggestionavano al minimo oscuramento del sole, si gettavano a terra, gridavano al miracolo. Ma per il resto si respirava un’aria di grande serenità, e che era il preludio di una autentica esperienza spirituale. Come al momento delle Confessioni all’aperto, i penitenti in ginocchio sulla terra; e poi la Messa in chiesa, tutti pregavano nella propria lingua, eppure si aveva la sensazione che il “suono” fosse unico.
Non per questo, naturalmente, sparivano le perplessità, le considerazioni dettate dalla ragione, i dubbi, gli interrogativi. Per esempio, la singolare coincidenza tra l’inizio delle apparizioni e lo scontro tra i francescani (due dei quali sospesi a divinis) e il vescovo di Mostar, per via dell’assegnazione delle parrocchie al clero secolare. Poi, il fatto che Medjugorje venisse storicamente a rappresentare l’apparizione collettiva più numerosa (sei veggenti, quelli abituali) e più frequente (almeno una volta al giorno, da quel 24 giugno del 1981). E la “rielaborazione” dell’evento che qualche veggente si era messo a fare (come il racconto di Vicka di una visita in Paradiso) o dei messaggi della Vergine (sempre ritoccati dai padri francescani). E lo stesso vescovo di Mostar, giustamente prudente, ma che con i suoi continui divieti aveva finito con l’inasprire gli animi.
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