Gesù fu a suo tempo vittima “dell’indifferenza” che oggi colpisce i emarginati e profughi nel mondo: quella di coloro “che non vogliono assumersi la responsabilità del loro destino”. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa per la Domenica delle Palme, presieduta in una Piazza San Pietro gremita da circa 70 mila persone. La liturgia solenne è stata aperta dalla processione e dalla benedizione papale delle palme e degli ulivi e conclusa dal lungo giro di saluto di Francesco tra la folla, a bordo della papamobile.
La condizione di uomo, Lui che era Dio. Poi una vita da servo, Lui che era Re. E poi sempre più giù, lungo la scala di una spogliazione che nelle ultime ore di vita diventa atroce: venduto, tradito, falsamente accusato, insultato, frustato, preferito a un omicida, inchiodato sulla croce, marchiato con l’infamia da una esecuzione riservata alla feccia della società, Lui che dell’umanità era la redenzione.
Gesù entra nelle nostre città
Dopo aver preso parte alla consueta processione verso l’obelisco di Piazza San Pietro e aver benedetto le palme e gli ulivi alzati dalla folla, all’omelia della Messa che apre la Settimana Santa Papa Francesco elenca quasi con puntiglio ciò che la lettura del Passio ha appena rievocato nel silenzio delle circa 70 mila persone presenti: “l’abisso” dell’umiliazione patita da Gesù che, afferma, “sembra non avere fondo”. È il “mistero dell’annientamento”, dice, il quale tuttavia inizia senza lasciare presagire ciò che sarà, con gli osanna della folla lanciati al Maestro mite che entra a Gerusalemme cavalcando un asino:
“Sì, come è entrato a Gerusalemme, Egli desidera entrare nelle nostre città e nelle nostre vite (…) Niente poté fermare l’entusiasmo per l’ingresso di Gesù; niente ci impedisca di trovare in Lui la fonte della nostra gioia, la gioia vera, che rimane e dà la pace; perché solo Gesù ci salva dai lacci del peccato, della morte, della paura e della tristezza”.
Amore che si china
Ma la Settimana Santa è una discesa verso l’annullamento. Il Figlio di Dio che “svuotò sé stesso” per farsi “Figlio dell’uomo” – il “senza peccato” in “tutto solidale con noi peccatori” – sceglie, sottolinea Francesco, di lavare i piedi ai discepoli. Gesto da schiavo ma segno di quell’amore “sino alla fine”:
“Ci ha mostrato con l’esempio che noi abbiamo bisogno di essere raggiunti dal suo amore, che si china su di noi; non possiamo farne a meno, non possiamo amare senza farci prima amare da Lui, senza sperimentare la sua sorprendente tenerezza e senza accettare che l’amore vero consiste nel servizio concreto”.
I profughi di nessuno
Dal Cenacolo in poi le ore si fanno convulse. Gesù, ricorda Francesco, è “umiliato nell’animo” con scherni e sputi e straziato nel corpo con violenza feroce, fino alla “condanna iniqua” da parte di autorità che hanno altri interessi che fare realmente giustizia. Una situazione che il Papa rivede in uno dei più grandi drammi di oggi:
“Gesù prova sulla sua pelle anche l’indifferenza, perché nessuno vuole assumersi la responsabilità del suo destino. E penso a tanta gente, a tanti emarginati, a tanti profughi, a tanti rifugiati dei quali tanti non vogliono assumersi la responsabilità del loro destino”.
Perdono abissale
E c’è ancora il gradino più basso. Appeso al patibolo, oltre alla derisione, Gesù “sperimenta il misterioso abbandono del Padre”, al quale però Lui stesso si abbandona con fiducia totale, senza mai smettere di amare né chi gli è vicino, né chi lo ha messo a morte:
“Gesù (…) all’apice dell’annientamento, rivela il volto vero di Dio, che è misericordia. Perdona i suoi crocifissori, apre le porte del paradiso al ladrone pentito e tocca il cuore del centurione. Se è abissale il mistero del male, infinita è la realtà dell’Amore che lo ha attraversato, giungendo fino al sepolcro e agli inferi, assumendo tutto il nostro dolore per redimerlo, portando luce nelle tenebre, vita nella morte, amore nell’odio”.
La “cattedra di Dio”
“Può sembrarci tanto distante il modo di agire di Dio, che si è annientato per noi, mentre a noi – conclude Francesco – pare difficile persino dimenticarci un poco di noi” stessi:
“Siamo chiamati a scegliere la sua via: la via del servizio, del dono, della dimenticanza di sé. Possiamo incamminarci su questa via soffermandoci in questi giorni a guardare il Crocifisso, è la ‘cattedra di Dio’. Vi invito in questa settimana a guardare
spesso questa ‘cattedra di Dio’ per imparare l’amore umile, che salva e dà la vita, per rinunciare all’egoismo, alla ricerca del potere e della fama”.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va/Alessandro De Carolis)
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