La Chiesa Cattolica definisce Istituto di vita consacrata una società (eretta dall’autorità ecclesiastica) di persone del medesimo sesso o miste che professano i voti religiosi pubblici di povertà, castità e obbedienza. Gli istituti si distinguono in religiosi e secolari. Se l’istituto di vita consacrata è maschile può essere composto da sacerdoti e/o laici. Gli istituti di vita consacrata si differenziano dalle società di vita apostolica perché gli appartenenti alle società di vita apostolica non fanno professione pubblica dei voti religiosi. Gli istituti di vita consacrata si distinguono in istituti religiosi, i cui membri praticano vita comune, e istituti secolari, i cui sodali vivono “nel mondo” (o “nel secolo”, cioè nelle proprie case). La Chiesa cattolica dialoga con gli istituti di vita consacrata (e con le società di vita apostolica) attraverso la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica: alcuni particolari istituti dipendono, invece, dalle congregazioni per l’Evangelizzazione dei Popoli (quelli dediti all’apostolato missionario) e per le Chiese Orientali (quelli di rito orientale). Gli istituti sono retti da un Moderatore supremo con poteri simili a quelli di un vescovo, che ha giurisdizione su tutta la congregazione e ne risponde dinanzi alla Santa Sede. Fin dal IV secolo, sono nate comunità che hanno raccolto uomini e donne desiderosi di vivere più intensamente i valori evangelici, in particolare la povertà, la castità e l’obbedienza. Alcune forme di vita religiosa hanno origine già prima del IV secolo. Infatti, non è da escludere che nel I e nel II secolo le «vedove» cristiane si riunissero per svolgere al meglio le funzioni di carità loro assegnate dai sacerdoti. Nelle prime comunità cristiane, infatti, le vedove erano da un lato oggetto dell’attenzione caritativa, dall’altro, invece, erano soggetti attivi nella distribuzione dei beni di prima necessità ai poveri o nell’assistenza ai malati. Tra gli uomini, invece, nei primi due secoli si sviluppò soprattutto una forma di monachesimo o eremitismo. Questi uomini, infatti, vivendo il profondo distacco tra i principi evangelici e la società, tendevano a ritirarsi in grotte o nel deserto per meglio vivere la propria esperienza di fede. Queste esperienze religiosi ebbero, però, le prime regole solo nel IV secolo, soprattutto in Egitto, Palestina e Grecia. Dal IV secolo in poi sono nati, via via, i vari ordini religiosi: dagli ordini monastici, ai canonici regolari, agli ordini mendicanti e fino ai chierici regolari. Il Concilio Vaticano II ha voluto un rinnovamento della vita religiosa; ha infatti pubblicato il decreto Perfectae Caritatis il quale invita ogni istituto a ripensare al proprio carisma ed alle proprie caratteristiche.
Occorre vigilare attentamente affinché i beni degli Istituti religiosi “siano amministrati con oculatezza e trasparenza” e perché siano ancora oggi, per la Chiesa e per il mondo, gli avamposti dell’attenzione a tutti i poveri e a tutte le miserie, materiali, morali e spirituali: è quanto ha affermato il Papa nel suo messaggio per il Simposio Internazionale organizzato a Roma dalla Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata, sul tema “La gestione dei beni ecclesiastici degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica a servizio dell’humanum e della missione nella Chiesa”. “Il nostro tempo – afferma il Papa – è caratterizzato da rilevanti cambiamenti e progressi in numerosi campi, con conseguenze importanti per la vita degli uomini. Tuttavia, pur avendo ridotto la povertà, i traguardi raggiunti spesso hanno contribuito a costruire un’economia dell’esclusione e dell’inequità: «Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole» (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 53). Di fronte alla precarietà in cui vive la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo, come pure di fronte alle fragilità spirituali e morali di tante persone, in particolare i giovani, come comunità cristiana ci sentiamo interpellati. Gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica possono e devono essere soggetti protagonisti e attivi nel vivere e testimoniare che il principio di gratuità e la logica del dono trovano il loro posto nell’attività economica. Il carisma fondazionale di ciascun Istituto è inscritto a pieno titolo in questa “logica”: nell’essere-dono, come consacrati, date il vostro vero contributo allo sviluppo economico, sociale e politico. La fedeltà al carisma fondazionale e al conseguente patrimonio spirituale, insieme alle finalità proprie di ciascun Istituto, rimangono il primo criterio di valutazione dell’amministrazione, gestione e di tutti gli interventi compiuti negli Istituti, a qualsiasi livello: «La natura del carisma dirige le energie, sostiene la fedeltà ed orienta il lavoro apostolico di tutti verso l’unica missione» (Esort. ap. postsin. Vita consecrata, 45)”.
“Occorre vigilare attentamente – sottolinea il Papa nel suo messaggio – affinché i beni degli Istituti siano amministrati con oculatezza e trasparenza, siano tutelati e preservati, coniugando la prioritaria dimensione carismatico-spirituale alla dimensione economica e all’efficienza, che ha un suo proprio humus nella tradizione amministrativa degli Istituti che non tollera sprechi ed è attenta al buon utilizzo delle risorse. All’indomani della chiusura del Concilio Vaticano II, il Servo di Dio Paolo VI richiamava a “una nuova ed autentica mentalità cristiana” e a un “nuovo stile di vita ecclesiale”: «Notiamo con vigile attenzione come in un periodo come il nostro, tutto assorbito nella conquista, nel possesso, nel godimento dei beni economici, si avverta nella opinione pubblica, dentro e fuori della Chiesa, il desiderio, quasi il bisogno, di vedere la povertà del Vangelo e la si voglia ravvisare maggiormente là dove il Vangelo è predicato, è rappresentato» (Udienza generale del 24 giugno 1970). Ho voluto richiamare tale bisogno anche nel Messaggio per la Quaresima di quest’anno. Gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica sono stati sempre voce profetica e testimonianza vivace della novità che è Cristo, della conformazione a Colui che si è fatto povero arricchendoci con la sua povertà. Questa povertà amorosa è solidarietà, condivisione e carità e si esprime nella sobrietà, nella ricerca della giustizia e nella gioia dell’essenziale, per mettere in guardia dagli idoli materiali che offuscano il senso autentico della vita”. Il Papa conclude così il suo messaggio: “Non serve una povertà teorica, ma la povertà che si impara toccando la carne di Cristo povero, negli umili, nei poveri, negli ammalati, nei bambini. Siate ancora oggi, per la Chiesa e per il mondo, gli avamposti dell’attenzione a tutti i poveri e a tutte le miserie, materiali, morali e spirituali, come superamento di ogni egoismo nella logica del Vangelo che insegna a confidare nella Provvidenza di Dio”. a cura di Ornella Felici*
* La fonte dell’articolo è tratta da: radiovaticana.it