Ethica et Oeconomia

«Mia figlia è in coma da nove anni Ogni giorno da lei per farla sorridere»

Ogni giorno da Sara per strapparle un sorriso. Francesco Ippolito, 56 anni, di Torrevecchia Pia, tutte le mattine indossa il casco, sale sulla moto («Mi ferma solo la neve», dice), percorre i 35 chilometri che lo separano dalla figlia, ospite di un reparto del Pio Albergo Trivulzio, e prova a entrare nel suo mondo, fatto di silenzi.

 

«Prendo la chitarra, che ho imparato a suonare per lei, e strimpello qualcosa – dice il padre –. E poi le racconto storie, usando la fantasia. Spesso sorride e quando accade sono felice. Almeno fino a sera, quando è il momento di dividerci ancora. Le notti lontano da mia figlia sono la parte più difficile della giornata». La vita di Francesco Ippolito e della moglie, che hanno altri tre figli, scorre così da quasi nove anni.

Tanto tempo è passato da quell’operazione di appendicite all’ospedale di Vizzolo Predabissi che ha cambiato per sempre la vita della figlia, trascinandola in un silenzio senza fine. Il cuore della ragazza, quel 16 gennaio del 2010, si fermò più di una volta, dopo l’intervento, provocando danni irreversibili. Sara Ippolito aveva 16 anni. Oggi ne ha 24 «e per me – dice il padre – è sempre più bella, come sua madre». Nove anni che i genitori della ragazza hanno vissuto in bilico. Un tempo sospeso tra la speranza di un miracolo e la paura di un ulteriore peggioramento. «Pochi mesi fa è successo, Sara non stava bene e abbiamo davvero temuto il peggio – dice il padre –. Grazie a un medico della Maugeri tutto si è risolto per il meglio». Sara continua a vivere, nonostante tutto. E a sorridere nella stanza d’ospedale che la madre ha voluto riempire di farfalle.

Proprio mentre è in corso il dibattito sul caso di Dj Fabo (la Corte costituzionale era chiamata ieri a decidere sulla legittimità, sollevata dalla Corte d’assise di Milano nell’ambito del processo a Marco Cappato, dell’articolo 580 del codice penale che punisce l’aiuto al suicidio) il padre di Sara Ippolito non ha dubbi:

«Il desiderio è che mia figlia possa vivere e stare bene, ma allo stesso tempo condivido gli sforzi che si stanno facendo sul piano legislativo per aprire la possibilità di decidere anche di mettere fine alla propria vita nei casi in cui la malattia sia inaccettabile. Anche volendo, noi oggi non possiamo decidere del destino di nostra figlia, ma se un giorno dovesse avere un momento di lucidità vorrei che potesse avere libertà di scelta». Nessun dubbio anche sul caso di Dj Fabo:

«La sua è stata una scelta difficile e coraggiosa. Non si può non condividere. Si discute tanto di questo tema ma poi bisogna trovarsi nelle situazioni concrete per esprimere un’opinione. Chi siamo noi per giudicare? Per dire ciò che è giusto o sbagliato? Ecco, questo me lo ha insegnato mia figlia in tutti questi anni. Ho visto delle situazioni attorno a noi davvero difficili». E difficile è stato il percorso che la famiglia Ippolito ha dovuto affrontare in tutti questi anni. «Per stare accanto a mia figlia ho dovuto lasciare il lavoro – dice il padre di Sara –. Ho gestito un’edicola a Torrevecchia Pia per 13 anni, poi ’ho venduta perché volevo più tempo da dedicare alla mia famiglia e ho trovato lavoro in un mangimificio. Due mesi dopo, il 16 gennaio, è successa la tragedia. Mia figlia non si è più ripresa».

La famiglia ha vinto la sua battaglia in tribunale

La famiglia ha vinto la sua battaglia in tribunale, con un risarcimento di 2 milioni di euro ora congelati e a disposizione della ragazza, che ha la madre come tutore legale. «I giudici hanno riconosciuto l’errore dei medici, che non intervennero tempestivamente per cercare di strappare ma figlia a questo destino, ma ovviamente è una magra consolazione – dice il genitore –. Alla fine abbiamo dovuto accettare la situazione così com’è e solo questo aiuta a vivere. Se Sara sta bene ed è serena lo siamo anche noi.

Per questo ho imparato a suonare la chitarra. Certo, non abbiamo gli stessi gusti musicali – sorride il padre –. A lei piace la Pausini, a me il rock e i cantautori italiani. Ma strimpello di tutto e a volte riesco a strapparle un sorriso». Il padre arriva al Pio Albergo Trivulzio verso le 10.30 ogni mattina: «Trovo Sara sulla sedia a rotelle e la porto un po’ in giro per la struttura – racconta –. Andiamo a bere il caffè e poi dopo mezzogiorno viene messa

Fonte laprovinciapavese.gelocal.it – Maria Fiore

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