Fiumicino, la vittima di 11 anni aveva minacciato il suicidio agli assistenti sociali: «Non ce la faccio più». Il decesso ha molti punti oscuri: i primi rilievi del medico legale non parlano di segni di violenza. Aperto un fascicolo alla Procura di Civitavecchia.
A trovare il corpo del bambino cullato dall’acqua è stato un poliziotto di Ostia. Un tuffo senza il tempo di pensare a nulla e poi la risalita da quelle sponde scoscese di fango e rovi. Il piccolo di 11 anni però non ce l’ha fatta e ora la sua morte è un giallo. Il dramma si è consumato a Maccarese, comune di Fiumicino. Un’area molto verde del litorale romano. Poche case strette tra l’Aurelia e il mare di Fregene, tanti campi agricoli che da quel fossato traggono acqua e vita. Il piccolo era tornato da scuola verso l’una. Un pranzo dai nonni tra le villette e i giardini del comprensorio di via Campo Salino, a due passi dal Castello della cittadina. Le casupole, tre metri di asfalto e poi il canale che lo ha inghiottito. Non vedendolo tornare dopo gli inutili richiami, tra il sospetto e l’ansia, la nonna ha iniziato a urlare. I vicini sono scesi tutti. «I bambini giocano sempre insieme qui nel cortile, vanno in bici, ma mai al fosso», racconta il signor Eraldo, uno dei testimoni della tragedia.
A trovarlo è stato intorno alle 16 Christian Piccinini, agente del commissariato di Ostia. Galleggiava sul pelo dell’acqua: il canale di irrigazione era pieno quasi fino all’orlo, pronto a servire le coltivazioni vicine. Intorno la vegetazione selvaggia che ha reso il salvataggio terribilmente difficile. Il poliziotto ha chiesto aiuto, poi si buttato, ha raggiunto il bimbo e ha cercato inutilmente di risalire sulla riva. Le urla hanno fatto accorrere anche i tanti genitori del vicino asilo: era in corso la festa dedicata ai nonni. Un papà si è spinto sulla riva e alla fine il corpo è stato portato sulla strada. È stato allertato anche l’elisoccorso. Ma l’arrivo dei medici del 118 ha spento l’ultima speranza.
La polizia di Fiumicino indaga sul decesso, che ha molti punti oscuri. Al momento si battono tutte le piste. Il piccolo potrebbe essere semplicemente caduto nel canale e affogato: i primi rilievi del medico legale non parlano di segni di violenza, almeno non evidenti, ma non si possono nemmeno escludere altre concause della morte. L’autopsia chiarirà i dettagli. C’è un fascicolo aperto alla Procura di Civitavecchia del pm Alessandra D’Amore. I genitori del bimbo, separati da tempo, svolgevano lavori saltuari: sono stati portati in commissariato per ricostruire la dinamica dei fatti. La famiglia, stando alle prime indagini, presentava alcune criticità. Il piccolo, che frequentava la prima media, era stato seguito a scuola da un insegnante di sostegno e dall’«Assistente educatrice culturale», figura assegnata ad alunni con problemi di ogni genere, dalla disabilità a disturbi cognitivi.
La diagnosi del bimbo non era chiara. Le stesse operatrici però lo scorso marzo avevano segnalato alla scuola e ai servizi sociali una situazione familiare «difficile». Quel giorno lo studente, in uno dei tanti momenti di particolare agitazione, aveva detto piangendo frasi strazianti, angosciose, inconciliabili con i suoi 11 anni: «Non ce la faccio più, ora mi ammazzo». Aveva detto alle assistenti di un clima familiare duro da sopportare, dei genitori che si drogavano davanti a lui, delle violenze subite: gli investigatori stanno appurando se si trattasse di maltrattamenti. Il piccolo aveva chiesto aiuto, disperatamente e a lungo. Le sue grida però ieri, dalla riva di quel canale, non le ha sentite nessuno.
Redazione Papaboys (Fonte roma.corriere.it/di Valeria Costantini)
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