Un solo barcone con 300 persone fruttava a questa organizzazione quasi un milione di euro. Gli immigrati infatti spendevano circa 3 mila euro per un viaggio senza garanzie di sopravvivere. Ma non è certo una novità che gli immigrati giungano nelle terre promesse attraverso reti di trafficanti di esseri umani. Forse si fa ancora poco per sconfiggere questa criminalità, che sfrutta la disperazione e il dolore di chi cerca una vita migliore?
Dott. Affronti:R. – Certamente, non si fa quasi nulla da questo punto di vista. E, tra l’altro, le condizioni di viaggio diventano sempre più precarie, perché non esiste più lo scafista – come dire – ‘professionista’. Le organizzazioni assoldano estemporaneamente nei luoghi d’imbarco delle persone, che scappano anch’esse da situazioni di guerra e di persecuzione, che bene o male sanno tenere in mano un timone, e affidano tutto a loro, proprio per evitare che gli scafisti vengano arrestati nei Paesi di approdo. Quindi, c’è sempre più precarietà. Noi, da sempre, pensiamo che si debbano aprire dei canali umanitari – dall’Egitto, dalla Libia… – in modo da consentire un ingresso protetto, nei diversi Paesi europei, in condizioni legali, a questi potenziali richiedenti asilo, intrappolati nei Paesi di transito. Questo, secondo noi, sarebbe l’unico strumento per contrastare effettivamente le organizzazioni criminali. Inoltre andrebbero rivisti gli accordi bilaterali, le intese che le forze di Polizia italiane hanno con quelle egiziane, nigeriane, tunisine, per esempio, perché questi accordi consentono il rimpatrio immediato, anche prima che possa essere depositata un’istanza di protezione internazionale. Sulle istanze di protezione internazionale, infatti, deve decidere la commissione territoriale, non certamente l’autorità di Polizia. Qualcosa, quindi, si potrebbe fare, ma ahimè non è stato fatto mai nulla. Peraltro, dobbiamo dire che queste persone sono costrette a fuggire, perché scappano da guerre, da persecuzioni, e sanno che rischiano la vita.
D. – Ora c’è la proposta di un commissario europeo per l’immigrazione. Questo servirà a migliorare la situazione, specie per le persone che sbarcano in Italia e trovano situazioni ‘infernali’ anche qui?
R. – Beh, il sistema di protezione sicuramente in Italia deve migliorare. Ci vuole maggiore organizzazione e soprattutto maggiore coinvolgimento degli enti, anche non governativi, che in questi anni hanno cercato di risolvere i problemi. Certamente il sistema di accoglienza non è ben rodato, ma bene o male queste persone vengono accolte, anche se si deve fare molto per i loro diritti. Poi, per quanto riguarda il commissario, è tutto un problema politico. Fino a quando rimarrà il concetto di Europa come ‘fortezza’ da difendere dall’arrivo di queste persone, è chiaro che il commissario potrà fare poco. Non so se ci sia la volontà politica da parte dell’Europa di risolvere, una volta per tutte, questa situazione, ma fino adesso, ahimè, i segnali non sono stati mai confortanti. Anche il fatto che l’Italia sia rimasta da sola a gestire queste questioni la dice lunga. La speranza è che possa cambiare qualcosa, ma se non cambia l’atteggiamento politico… restiamo a guardare, vediamo quello che succede. Siamo sicuri, però, che così non si possa continuare, evidentemente. Di Roberta Gisotti per Radio Vaticana.
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