Li hanno abbandonati al loro destino, dopo avere impostato la rotta automatica verso le coste della Calabria e aver lasciato la nave. Qualche giorno fa un caso analogo: un cargo battente bandiera moldava privo di equipaggio e carico di migranti è stato abbandonato e poi condotto nel porto pugliese di Gallipoli. Il mercantile Ezadeen – lungo una sessantina di metri, con bandiera della Sierra Leone, ora diretto verso il porto di Corigliano Calabro – è stato lanciato verso le coste calabresi nel pomeriggio del 1 gennaio col suo carico di circa 450 migranti di nazionalità siriana, tra i quali donne e bambini. Giunti in quelle che vengono definite acque “Sar” (ricerca e soccorso) italiane, a circa 80 miglia da Crotone, i migranti hanno lanciato l’allarme. In zona sono arrivate le motovedette della Guardia costiera e la nave islandese Tyr della missione Frontex. Impossibile, però, per gli uomini della Guardia costiera salire a bordo, anche dopo che il cargo si è fermato per avere esaurito il carburante. Con onde alte sette metri il rischio di un abbordaggio era troppo elevato. E così, come già successo nel caso di Gallipoli, i marinai si sono dovuti calare a bordo col verricello di un elicottero dell’Aeronautica militare. Una volta ai comandi, i militari si sono anche resi conto che questi erano fuori uso; si è reso quindi necessario l’intervento della nave islandese, che ha trainato la Ezadeen verso il porto di Corigliano Calabro.
Gli ultimi due episodi confermano la nuova strategia messa in atto dai trafficanti di essere umani: per evitare ogni pur minimo rischio di essere arrestati, lasciano le navi ingovernate, col rischio di farle finire sugli scogli. Una metodica già nota alla Guardia costiera calabrese, che si è trovata ad affrontare casi analoghi nel recente passato. Per questo tipo di “sbarchi” l’organizzazione – spiegano alla Guardia costiera – usa navi dismesse da 2-3 anni, di cui non vi è più traccia nei registri navali ma che ricompaiono misteriosamente in queste circostanze. Navi, tra l’altro, di dimensioni tali – dai 60 ai 100 metri – da consentire la navigazione anche d’inverno, col mare grosso, mentre in passato venivano usate solo vecchie carrette di pochi metri e gli sbarchi erano concentrati nella stagione estiva.
Dopo la partenza da porti della Grecia o della Turchia, a distanza di sicurezza dalle coste italiane, gli scafisti inseriscono il pilota automatico – o comunque danno i rudimenti di navigazione a qualcuno dei migranti a bordo – e abbandonano la nave. A modificare l’approccio degli scafisti avrebbe contribuito anche il fatto che i profughi provenienti dalla Siria sono disposti a pagare prezzi più alti per il viaggio – in alcuni casi sino a ottomila dollari a testa – ma pretendono, come contropartita, l’uso di mezzi sicuri. Il cambio di strategia, però, oltre ad essere rischioso per i migranti e per gli stessi soccorritori – costretti a salire a bordo di navi in movimento in condizioni meteo marine spesso al limite – provoca anche un altro problema: l’occupazione delle banchine dei porti di attracco che limitano, a volte per periodi molto lunghi, le normali attività commerciali degli scali, con danni per gli operatori e l’economia della zona.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Avvenire
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