Poi ci sono 6.750 minori in affido a parenti. Sono invece 14.255 quelli inseriti nelle varie tipologie di servizi residenziali. Il dato ministeriale non permette però di distinguere tra case famiglia, presidi socio assistenziali e comunità di vario tipo. E, per la qualità di vita dei bambini, non si tratta di differenze trascurabili.
Tanti i motivi di preoccupazione insomma che hanno indotto le associazioni partecipanti al Tavolo nazionale affido a lanciare l’allarme. Urgente «mettere in conto strategie di riposizionamento del sistema che, senza disconoscere il bisogno di interventi di protezione e cura dei minori esposti a situazioni gravemente pregiudizievoli – scrivono i rappresentanti delle associazioni – sappiano intervenire prima, prevenendo l’aggravarsi delle situazioni familiari». Che, tradotto, vuol dire: o interveniamo con rapidità per cambiare tutto, o l’affido come lo conosciamo è destinato a morire.
La perplessità di fondo della riflessione nasce dalla verifica dei dati che dimostrano come l’affido sia ormai residuale rispetto ad altre opzioni: «Ogni tre minori collocati all’esterno della cerchia familiare e parentale, due sono in servizi residenziali e uno in affido». E questa prassi si è affermata nonostante la legge 184 dica esattamente l’opposto. E cioè che l’affido familiare dev’essere la prima scelta, mentre alle comunità di tipo familiare ci si debba rivolgere soltanto in seconda battuta.
Assolutamente disomogenea poi la ripartizione geografica dell’affido. In Liguria è diffuso undici volte più che in Basilicata. Forse perché al Sud il quadro familiare è meno problematico? Si sarebbe indotti a crederlo anche da un altro dato. Le regioni in cui sono maggiormente diminuiti i minori tolti alle famiglie sono Campania (-28%), Puglia (-30%) e Lazio (-32%) rispetto all’ultimo dato (anno 2007). Questo forte decremento – si chiedono le associazioni – «potrebbe essere indicativo di una maggiore capacità di prevenzione degli allontanamenti e di un migliore stato di salute delle famiglie di origine?».
Purtroppo si tratta di una speranza destinata a naufragare di fronte alla disastrosa situazione sociale di queste regioni. Siamo di fronte, annotano infatti gli esperti, a una «ridotta capacità di intervento del sistema di tutela minorile, causata dalla progressiva contrazione delle risorse impiegate nel welfare».
I motivi di preoccupazione però non sono finiti. Dai dati emerge infatti come l’affido, rispetto alle comunità, risulti sempre meno scelto per i minori da 0 a 2 anni, «nonostante siano ampiamente dimostrate sul piano scientifico le conseguenze negative della deprivazione di cure familiari nei primissimi anni di vita». Il rapporto ministeriale evidenzia inoltre un altro aspetto inquietante.
Non solo, come detto, gli affidi diminuiscono, ma quelli esistenti durano troppo a lungo, togliendo così all’istituto le originarie caratteristiche di aiuto temporaneo. Un terzo dei minori è in affido da oltre 4 anni, il 25% da 24 a 48 mesi, il 56,7% da due anni. Altrettanto pesante il quadro riferito agli affidi giudiziali (quelli cioè decisi dai tribunali) rispetto a quelli consensuali (che si realizzano con l’accordo delle famiglie di origine). I primi sono il 74,2% del totale. In Sicilia, si arriva addirittura al 91,3%. E, anche in questo caso, la situazione va letta in chiave assolutamente negativa perché, si legge ancora nel documento del Tavolo nazionale, si conferma «la tendenza ad intervenire con lo strumento dell’affidamento familiare rispetto a situazioni molto compromesse».
Non più uno strumento per offrire a una famiglia in difficoltà l’occasione per risollevarsi in modo concordato, ma quasi una scelta estrema per assestare, con la sottrazione del figlio, il colpo di grazia a genitori già pesantemente provati.
Fonte. Avvenire
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