Per portare Cristo a tutti, è davvero preziosa e grande l’opera di tanti missionari, che a volte vivono in condizioni difficili, altre volte, come in Cina, con il rischio o della galera o dell’essere uccisi.
Sono i meravigliosi missionari ‘di frontierà.
Ma il compito di fare conoscere Gesù e il Vangelo è solo compito di alcuni o è dovere di tutti?
Non è forse vero che i nostri ‘primi missionari’ dovrebbero essere i nostri genitori, che ci fanno della vita un dono, che agli occhi del Padre ha una sola ragione: conoscerLo, amarLo, servirLo per poi alla fine, se saremo degni, gioire con Lui in Paradiso?!
C’è una preghiera eucaristica che descrive in modo meraviglioso chi è Dio per ogni creatura.
Suona così: “Noi Ti lodiamo e Ti benediciamo Dio, Onnipotente, Signore del Cielo e della terra, per Gesù Cristo venuto nel tuo nome: Egli è la mano che tendi ai peccatori, la parola che ci salva, la via che ci guida alla pace. Tutti ci siamo allontanati da Te, ma Tu stesso, o Dio nostro Padre, ti sei fatto vicino ad ogni uomo, con il sacrificio della croce”.
Credo che tutti almeno dovremmo sapere o credere che la nostra esistenza, l’esistenza di ogni uomo e donna, ha una sola ragione: è stata concepita dall’eternità dal Cuore del Padre, che ci ha affidati nel tempo ad una famiglia, con il solo scopo di ricambiare qui l’amore, raggiungere la santità e quindi tornare alla Sua e nostra Casa, che è la sola Casa vera per tutti.
Qui, tutto è provvisorio, come nel viaggio di un pellegrino.
Non ci stancheremo mai di dire che la ragione vera della vita non sono i soldi, tanto meno la superbia dell’apparire o del dominare, un’onorificenza o la celebrità effimera, ma la sola ragione, ripeto, è amare ed essere amati.
Gesù, chiestogli quale fosse il più grande comandamento, rispose: “Nella vita amerai il Signore tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze. Il secondo comandamento è simile a questo: amerai il prossimo tuo come te stesso. Fà questo e vivrai!”
Affermava il Santo Padre nella giornata missionaria dello scorso anno: “Il compito missionario non è la rimozione del mondo, ma trasfigurarlo attingendo la forza da Gesù Cristo”.
Ma – ripeto – il compito missionario riguarda solo chi non conosce Dio, e verso cui operano i nostri ‘missionari’, o riguarda ogni cristiano?
Non è forse vero che ogni cristiano, nel suo ruolo, ha un compito che non può eludere, perché è quello che lo fa partecipe della sua vera natura e origine?
Impensierisce l’ignoranza di troppi fratelli e sorelle che, se va bene, a volte conoscono ‘briciole’ della Parola di Dio, quando invece questa dovrebbe essere il PANE che dà ragione alla vita, dono di Dio. Affermava Paolo VI, che non si stancava di viaggiare per il mondo, per portare con autorità il Vangelo a tutti, fino ai confini della terra: “Il popolo di Dio è un popolo missionario. Cristo avrebbe potuto chiedere al Padre suo, ed egli avrebbe messo a disposizione più di dodici legioni di angeli, per annunciare al mondo la sua redenzione. Invece Cristo ha conferito questo compito e questo privilegio a noi; a noi, gli infimi di tutti i santi che siamo davvero indegni di essere chiamati apostoli, di proposito, per annunciare la buona novella all’umanità. Egli non ha voluto servirsi di altre voci che della nostra.
A noi infatti è stata data questa grazia di evangelizzare i pagani, con l’insondabile ricchezza del Vangelo. A noi poi spetta di proclamare il Vangelo in questo straordinario periodo della storia umana, un tempo davvero senza precedenti. Se mai ci fu un tempo, in cui i cristiani, più che in passato, sono chiamati ad essere luce che illumina il mondo, città situata su un monte, sale che dà sapore alla vita degli uomini, questo è indubbiamente il nostro tempo.
Noi infatti possediamo l’antidoto al pessimismo, agli oscuri presagi, allo scoraggiamento e alla paura, di cui soffre il nostro tempo. E ciascuno di noi per il fatto di essere cristiano, deve sentirsi spinto a diffondere questa buona novella fino ai confini della terra. ‘Non possiamo – dicevano i primi cristiani, – non parlare di ciò che abbiamo visto e udito’ (At. 4, 20).
Nessun cristiano – sia egli papa, vescovo, sacerdote, religioso o laico – può rinunciare alla sua responsabilità nei riguardi di questo dovere essenziale di cristiano. Ricorderete certamente l’insistenza con cui il recente concilio ecumenico ha inculcato questo punto: ‘Ad ogni discepolo di Cristo – senza eccezione – incombe il dovere di spargere per quanto possibile la fede. Tutti i figli della Chiesa devono avere la viva coscienza della loro responsabilità di fronte al mondo, devono spendere le loro forze nell’opera di evangelizzazioné (Ad gentes, n. 23)
Possono apparire parole dure e coraggiose, ma in effetti sono la missione che tutti i battezzati, che hanno coscienza della loro natura di figli di Dio, hanno! Un dovere che poi si rivela come un grande bene, il bene della verità del Vangelo e della vita, ai fratelli e le sorelle.
‘Guai a me non evangelizzassi’ afferma l’apostolo. E difatti come si può essere davvero cristiani se non si conosce la parola di Dio che è la scuola di vita cristiana? Si può pensare di vivere ignorandola? Ed è forse questa pretesa assurda che porta a vivere disordinatamente. Solo la P AROLA educa alla vita, altre vie non ce ne sono, se non quelle di una religiosità a fior di pelle che genera pericolosa ignoranza.
Conoscere e diffondere il Vangeli è diventato, dal Concilio Ecumenico in poi, la grande strada scelta dalla Chiesa. Sono tante le comunità o parrocchie dove vige ‘la scuola della Parola’.
Ricordiamo tutti la grande testimonianza del Card. Martini che, periodicamente e con fedeltà, nel duomo di Milano, invitava alla conoscenza profonda della Parola.
Un duomo che si riempiva soprattutto di giovani, felici finalmente di conoscere Cristo, non solo a parole, ma in profondità. E la scuola della Parola ora è diffusa in ogni comunità.
Ricordo, da ragazzo, come tante donne e uomini conoscevano il Vangelo in modo incredibile e non vi erano le tante possibilità di oggi.
Così come ricordo come mamma alla domenica, prima di pranzo, chiedeva a noi figli quale tratto della predica della S. Messa ci avesse colpiti. Era vero culto della Parola.
Così come la domenica pomeriggio, era considerato obbligo frequentare in parrocchia la dottrina della Chiesa, ossia il Vangelo!
Ricordo, da vescovo, come durante l’anno liturgico sceglievo tempi adatti per incontrare in chiesa o all’aperto i miei fedeli, cercando insieme di entrare nel vivo della conoscenza della Parola.
Era il momento atteso da tanti, perché dava modo di conoscere Dio nella Parola, in modo familiare, simile allo stile di Gesù. Era una via per conoscere, amare e servire Dio. Alla fine più che invitare i fedeli erano loro a insistere per incontrarsi. Scoprivamo insieme la bellezza della Parola di Dio, che poi entra nelle coscienze a comporre il mosaico della santità.
Quante mamme, oggi, ma quante mamme, si trovano a pregare per la fede della propria famiglia! Quanta gente soffre per la perdita di una fede consapevole e profonda! E, paradossalmente, quanta gente, nella onesta ricerca della verità, dice: ‘Come invidio la sua fede!’ Non rimane allora che convertirci alla missionarietà.
Le comunità ecclesiali dovrebbero essere come quella che descrive l’apostolo Paolo ai Tessalonicesi: ‘La Parola del Signore riecheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia, nell’Acaia, ma la fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, in modo che non abbiamo più bisogno di parlarne.’ (Tess. 1,5-10)
Non resta che pregare, perché questo richiamo alla missionarietà di ciascuno trovi spazio in voi e così la luce della Parola illumini i vostri passi. di Mons. Antonio Riboldi, Vescovo Emerito
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