È tempo di algoritmi. Di tutti generi, in ogni settore, per tutte le applicazioni, nel tentativo di “semplificare” e assegnare una logica plausibile a molte delle operazioni che regolano le attività umane, da quelle comunitarie a quelle più individuali ed intime.
Dall’assegnazione delle cattedre per i nuovi insegnanti assunti, al calcolo della cosiddetta “esposizione sessuale” individuale (recentemente realizzato dal portale Lloyds Pharmacy). L’algoritmo prevede e decide, ordina e gerarchizza, “oggettivizza” e riduce le variabili. Un (ormai) irrinunciabile strumento logico in grado di risolvere un determinato problema attraverso un numero finito di passi elementari, tanto che, tecnicamente, un problema si definisce “calcolabile” proprio quando è risolvibile mediante un algoritmo. Insomma, uno strumento davvero utile e performante, ma… pur sempre uno strumento! Ideato dall’uomo, per sua “ratio” intrinseca, esso esprime e applica un modello – uno tra i tanti possibili – d’interpretazione della realtà da parte della mente umana. E per di più, solo della mente umana di chi lo elabora (di solito, un gruppetto di “esperti”). Non una sorgente di verità, quindi, ma solo un metodo di calcolo che applica dei criteri logici prestabiliti dai programmatori. E siccome la genialità della mente umana si manifesta anche nella sua “fallibilità”, a volte succede che limiti o difetti di programmazione algoritmica finiscono per generare risultati applicativi palesemente “disastrosi” e in contrasto con l’evidenza della realtà. Ma c’è di più. Quando si ha a che fare con la realtà umana, non tutto è calcolabile (grazie al Cielo!), non tutto può essere “ridotto” a elementi semplici ed elementari da includere tra i criteri di calcolo dell’algoritmo: l’essere umano è sempre più di ogni calcolo o previsione sulla sua vita!
Lunga vita agli algoritmi, dunque, se sono utili a sbrogliare sul piano pratico la complicata “la matassa” del nostro vivere quotidiano, ma attenzione ad utilizzarli “cum grano salis” (con un pizzico di sapienza)!